Perché, in soli 250 anni, gli Stati Uniti d’America sono diventati così importanti, così influenti, spesso così straripanti, non solo nel mondo occidentale ma in tutto l’orbe terracqueo, come dice la nostra immaginifica Presidente del Consiglio? Quali caratteristiche hanno reso quella società, quel sistema economico, quello stile di vita, così peculiari, e così dominanti, tanto da renderli un punto di riferimento imprescindibile, sia per gli amici che per i nemici? Dopotutto si tratta di soli 340 milioni di persone, in un continente che dispone sì di molte risorse naturali, ma che da sole non bastano a spiegare tutto il fenomeno. Altri Paesi sono anche più dotati di ricchezze, sono più popolosi, hanno ricche tradizioni, ma nessuno in così poco tempo ha raggiunto, e mantenuto finora, la posizione che occupano gli USA. L’America in fin dei conti è stata scoperta dagli europei solo nel 1492, cinquecento e spiccioli anni fa. A lungo è stata trattata come una qualsiasi colonia dalle grandi potenze dell’epoca, inglesi, spagnoli, francesi, e quindi sfruttata senza ritegno, mentre all’interno si procedeva allo spegnimento di qualsiasi resistenza dei nativi (che oggettivamente erano pochi, molto sparpagliati, senz’altra arma che la loro fierezza). Per l’Europa, l’America (Nord e Sud) dal XVI secolo in avanti ha costituito una gigantesca valvola di sfogo: il Vecchio Continente era sovraffollato, scarso di risorse, era altamente inquinato da condizioni igieniche preoccupanti, squassato da epidemie e da guerre sanguinosissime che duravano decenni, con condizioni sociali primitive, una società che sostanzialmente aveva solo il commercio per crescere, per il resto era pura sussistenza. C’era sì una proto-borghesia intraprendente e coraggiosa, ma si discuteva ancora se il potere fosse in capo al Papa o all’Imperatore (gli inglesi avevano risolto il problema a modo loro …). Sempre molto bravi a commerciare, gli europei avevano inventato le banche, le lettere di credito, usavano la politica come promozione dei traffici, avevano navi veloci ed affidabili ma, in fondo, le prospettive generali nel Cinquecento non erano proprio rosee, malgrado il Rinascimento. L’America aprì davvero un Nuovo Mondo, inondò l’Europa di risorse naturali, di ricchezze indicibili, aprì un immenso territorio da colonizzare, ma per quasi trecento anni non successe molto di più. Qui in Europa però la cultura si sviluppava, Lutero terremotò il potere della Chiesa, Galileo canonizzò il metodo scientifico sperimentale, Spinoza gettò le basi dell’Illuminismo, una cultura laica, razionalista, e massonica, si diffuse, ma non diventò politica e non ebbe conseguenze sociali visibili, almeno fino alla Rivoluzione Francese, alla fine del Settecento. In America c’era terra vergine dal punto di vista sociale e politico; gente fresca, decisa e senza scrupoli, che aveva lasciato il paese natio in cerca di fortuna. In quel laboratorio partì un esperimento illuminista, razionalista, laico, massonico, lontano dagli influssi delle grandi potenze europee e dai loro vincoli secolari. Il marchese di La Fayette andò in America a studiare da vicino cosa stava accadendo. Partecipò alla Rivoluzione Americana, che ottenne l’indipendenza dagli inglesi nel 1783, e tornò per partecipare alla Rivoluzione Francese nel 1789. Scrisse con Thomas Jefferson la fondamentale Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. ma non condivise l’esperienza napoleonica e i suoi deliri imperiali, naufragati tragicamente a Waterloo nel 1815. Qui in Europa iniziava la Restaurazione, in America l’esperimento federalista trovava invece le condizioni ottimali per svilupparsi, senza grandi vincoli né ostacoli. Qualche anno dopo, Alexis De Tocqueville tornò da quelle parti e scrisse La democrazia in America, quello che forse è il testo alla base della moderna democrazia liberale occidentale. In pochi decenni, i nascenti Stati Uniti d’America erano già diventati un esempio, un faro per i progressisti e i democratici europei. L’intervallo della sanguinosa Guerra di Secessione (1861-65) non interruppe l’esperienza federalista, anche se mise in luce contraddizioni che si trascinano ancora, fino ai giorni nostri. Razzismo e schiavismo erano retaggi dell’epoca coloniale, che avevano sì arricchito i latifondisti del Sud, ma che ora costituivano una zavorra per un’economia moderna che voleva crescere senza vincoli, senza rigidità sociali anacronistiche e legate alla primitiva struttura economica degli Stati del Sud. La guerra finì, vinsero i Nordisti, ma le contraddizioni restarono: tra Nord e Sud, tra progressisti e conservatori, tra chi vedeva nel dinamismo e nella flessibilità sociale una molla per la crescita e chi cercava di difendere schemi vetusti e rigidi di società stratificate ed immobili. La forza delle leggi, dello Stato di diritto, della Costituzione, delle regole comuni, unita alla spregiudicatezza di chi aveva conquistato un immenso territorio palmo a palmo, crearono comunque le condizioni per uno sviluppo economico e sociale senza precedenti. Gli Stati Uniti restarono la terra delle opportunità, dove chiunque poteva ambire a qualsiasi meta, dove a chiunque veniva offerta una prima ed anche una seconda possibilità, dove il fallimento non era considerato un’onta ma un’esperienza da mettere a frutto, con uno spirito pionieristico che resisteva anche alle contraddizioni di un Paese giovane, ma determinato a diventare una grande potenza. Continuava ad attirare gente da ogni parte del mondo, gente che arrivava con ogni mezzo e portava voglia di lavorare, di crescere, di arricchirsi. E in tanti non restarono delusi … “… c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva … si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l’America.” (A. Baricco – Novecento). Del protezionismo e del conseguente isolazionismo gli americani si innamorarono già nell’Ottocento (dottrina Monroe), ma questo non impedì agli USA di intervenire, seppur con molto ritardo, nella Grande Guerra, fornendo un contributo determinante alla sconfitta dell’impero austro-ungarico. Ed anche nel Secondo Conflitto, F. D. Roosevelt attese a lungo, fino all’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, prima di entrare in guerra contro il Giappone ed il nazifascismo. Gli effetti dell’intervento ci sono ben noti. Si dirà che gli USA volevano garantire la presenza della loro economia sui mercati europei: può darsi, ma intanto intervenirono, e furono determinanti per evitare che tutta l’Europa finisse sotto il tallone di dittatori come Hitler e Stalin (il nostro, come al solito, non contava nulla…). Un viaggio in Normandia, ad Omaha Beach con il relativo cimitero, toglie per sempre qualsiasi eventuale dubbio su quanto sia costata quella scelta. Certo, il territorio degli USA restò intatto, al contrario della devastata Europa; certo, il piano Marshall inondò i nostri martoriati Paesi di risorse che pagammo affidando agli Stati Uniti la nostra sicurezza per tutta la Guerra Fredda ed oltre, e infine legandoci ai loro prodotti, al loro stile di vita, ma 80 e più anni di pace in Europa non s’erano mai visti. Le regole della democrazia, le Costituzioni, le istituzioni le mutuammo in modo più o meno diretto dalla loro esperienza, perfino l’idea federalista di Europa Unita, a Ventotene, la derivarono dalla storia degli USA. Quel misto di libera iniziativa, di tendenza alla promozione individuale, di rispetto per le regole condivise, insieme all’idea di Stato Sociale, che invece negli USA non ha mai attecchito, sono gli ingredienti costitutivi delle nostre moderne società europee. Noi non ci rinunceremo. E neppure ci rinunceranno gli americani, anche se adesso, con Trump imperante e delirante, sembra strano dirlo. Abbiamo però visto con quanta determinazione le strutture profonde del mercato USA hanno reagito alle estemporanee evoluzioni del Presidente, costringendolo ad una vistosa e poco onorevole marcia indietro sui dazi. Non è finita qui, non illudiamoci: purtroppo ci aspettano ancora altri traumi ed altri scontri, perché la parte oggi vincente e dominante della società americana esisteva anche duecento anni fa, anche cento anni fa, solo che era minoritaria, restava confinata dallo spirito positivo e vitalista del resto della società. Adesso invece sta tentando di ingessare un’economia ed una società che non hanno mai davvero accettato di rinchiudersi in sé stesse, alzando muri e barriere contro il resto del mondo. Purtroppo, le condizioni sociali degli USA oggi sono deprimenti, il livello culturale dei giovani pare sia desolante, la coscienza civile vacilla tra le bufale creazioniste, il suprematismo bianco, il millenarismo religioso, l’illusione di essere sempre i più forti e l’estremismo di una ideologia woke esagerata ed offensiva del buon senso, che non è capace di trovare un equilibrio sensato. Trump non viene dalla Luna; quell’America c’era anche prima, c’è adesso e forse ci sarà sempre. Per questo la sfida è mortale: o l’America ottimista, intraprendente, coraggiosa, ambiziosa, positiva, riprende il controllo della società oppure l’altra America, bigotta, razzista, ignorante, presuntuosa, credulona, e pure violenta, arrecherà danni irreparabili a sé stessa ed a tutto l’Occidente allargato, facendolo regredire in una situazione premoderna. Forse ora è la vecchia Europa che deve correre a salvare l’America dai mostri che ha generato, scatenato e purtroppo portato al potere, per rimetterla sulla strada della democrazia, dello sviluppo civile, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, tutte quelle preziose intuizioni che qui abbiamo assorbito duecento e passa anni fa e che ora ci tocca riportare indietro. E' il momento di ricambiare. Lo dobbiamo a tutto l'Occidente.
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