Fino a prova contraria, viviamo in una “economia di libero mercato”. Con tutte le cautele del caso, “libero mercato” significa “libero mercato” e, se pure non fosse proprio libero libero, almeno così tenderebbe ad essere. Ha regole, limiti, trattati, consuetudini, anche tensioni e difficoltà, ma è sostanzialmente “libero”, nel senso che è basato su domanda e offerta, che gli scambi non sono osteggiati ma favoriti, che se ne prevede la reciprocità, che ci si fa liberamente concorrenza, che insomma NON sia come nel film (già ricordato) di Troisi e Benigni, dove si doveva pagare “un fiorino” ogni volta che si passava davanti al doganiere. Quella scena a suo tempo (1984) fece molto ridere, proprio perché rappresentava un assurdo palese, una caricatura paradossale di una società ancora legata alla legge del più forte. Oggi invece c’è ben poco da ridere. È arrivato un signore alla Casa Bianca, dall’aspetto improbabile e dai modi molto poco urbani, che ha deciso di usare la forza per pretendere “un fiorino” tutte le volte che, a suo insindacabile ghiribizzo, lo ritiene utile ai suoi interessi, alla faccia del libero mercato. Stavvi Minòs, orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l'intrata; giudica e manda secondo ch'avvinghia... Non è Minosse, ma gli somiglia molto. Spalleggiato da oscuri consulenti che di economia e di commercio internazionale dimostrano di sapere molto meno del pizzicagnolo all’angolo, tra l’altro ormai soppiantato dalla Grande Distribuzione Organizzata, incurante dei sicuri effetti inflattivi, della enorme complessità delle filiere produttive, che fanno viaggiare prodotti finiti e componenti in tutto il mondo, alla ricerca della maggiore efficienza e del maggiore profitto, fregandosene di qualsiasi idea di concorrenza e delle conseguenze destabilizzanti sulla propensione all’acquisto delle persone, da mesi il bellimbusto sta taglieggiando (o minaccia di farlo) tutto il mondo, nell’assurda pretesa di decidere lui (o gente come lui) come si produce, dove si produce, come si organizza una filiera, chi la deve gestire. Sembra assurdo, ma è realtà. Non c’è un economista al mondo (se escludiamo i suoi oscuri consiglieri) che ritenga tale comportamento appena sensato. Nessuno. Nessuno che non faccia notare come cancellare il libero mercato per sostituirlo con la forza delle minacce non ha senso alcuno, che anzi crea inflazione, recessione e miseria, innesca incertezza, acuisce tensioni sociali, che non sai dove possano sfociare. Tutto inutile. Trump e i suoi accoliti continuano a chiedere “fiorini” a destra e a manca, in quantità variabile, convinti che così loro “Make America Great Again”. In realtà sta accadendo il contrario … I mercati mondiali, che sono i giudici di ultima istanza delle politiche finanziarie e commerciali, cercano di adeguarsi, annaspano, vanno su e giù come palline da ping-pong nel mare tempestoso, si agitano invano cercando di prevedere le prossime mosse, mentre qualche furbone, appartenente alla cerchia degli amici del Vassallo, cavalca l’onda ed intasca utili mostruosi. Ora, i cosiddetti mercati non sono entità metafisiche, sono persone fisiche, nomi e cognomi, che ogni mattina accendono il PC, comprano e vendono, oppure sono algoritmi sofisticatissimi che, anche di notte, 24/24, fanno la stessa cosa, basandosi su regole anche molto complesse, ma prefissate nei loro programmi. È quindi altamente destabilizzante il comportamento di un umorale che, se si stufa di un negoziato che non gli pare proceda come vuole lui, batte un pugno sul tavolo e urla: “da domani, 50 fiorini per tutti quelli che passano”. Poi magari torna indietro, e tra tre giorni riparte. E poi ancora ... L’arbitrarietà e l’incertezza sono esiziali per un mercato ordinato e servono solo a favorire la speculazione selvaggia di chi ha in mano il potere, esattamente come il vassallo medievale con la sua corte. Ecco, Trump ci sta riportando indietro di cinque o sei secoli. Così è evidente che non si va avanti: questo modo violento, arbitrario ed imprevedibile di gestire gli affari finisce, presto o tardi, per spostare lo scontro su qualche altro terreno. E questo non fa prevedere nulla di buono. Come si contrasta questo stato di cose? Forse solo la forza degli eventi, l’evidenza di conseguenze disastrose, la paura di non poter più gestire le evoluzioni dei mercati, possono costringere uno come Trump a più miti consigli. In ogni caso, lo scontro non sarà né breve né indolore. Nel frattempo, qualcuno qui da noi, nella bassa provincia dell’Impero, si illude ancora di aggregarsi alla corte del Vassallo e di riuscire a costruire improbabili “ponti”, con uno che si comporta come un pistolero nel saloon: prima si spara e poi si parla, se c’è ancora qualcuno vivo. Mai finora il mondo ha dovuto affrontare situazioni tanto strampalate, nessuna dottrina le prevede, nessun esperto ne ha esperienza. Tocca improvvisare. E mentre l’aspirante autocrate di Washington si esibisce nei suoi numeri preferiti, tra i quali annoveriamo anche maltrattamenti in diretta di Capi di Stato, “deportazione” di migranti indesiderati, vessazione di Università prestigiose e discriminazione dei relativi studenti stranieri, sgraditi malgrado paghino fior di dollari per le università della Ivy League, altri rampanti autocrati portano avanti spettacoli paralleli sulle altre piste del Circo Globale. Al Cremlino, dopo la barbarie di Ivan il Terribile, la crudeltà di Pietro il Grande, il potere assoluto di Nicola I, il terrore di Stalin, la brutalità di Breznev, è in scena la furia messianica di Vladimir Putin, lanciato verso la restaurazione dell’Impero della Grande Russia. Ne è talmente convinto che non si cura affatto delle sofferenze che infligge anche al suo popolo, che peraltro non pare dare segni di insofferenza: troppi anni di sostanziale continuità delle tirannie succedutesi hanno anestetizzato, forse definitivamente, ogni barlume di dignità. Putin prosegue beffardo, imperterrito ed incurante di tutto, nella sua operazione speciale di conquista dell’Ucraina (per ora), mentre il resto del mondo, Trump compreso, che sotto sotto lo ammira e lo invidia, non sa come ricondurlo nell’ambito della civile normalità. E poi ancora un altro autocrate affacciarsi prepotentemente alla ribalta, in cerca di nuova gloria. Bibi Netanyahu non vuole essere da meno e ormai pare lanciato verso una specie di “soluzione finale” del conflitto mediorientale. Ho usato un termine pesante, lo so, ma preciso. Ci siamo chiesti quale sia davvero l’obbiettivo dell’attuale governo israeliano? Dove vuole arrivare? Davvero pensa di riuscire a sterminare tutti i potenziali terroristi di Hamas? Ed Hezbollah? E gli Houthi? E la teocrazia iraniana degli ayatollah? Tutti sterminati? Netanyahu contro tutti? La verità è che da un anno e mezzo Netanyahu non ha ottenuto nulla, se non il discredito dell’unica democrazia della regione, l’isolamento internazionale di un popolo intero, l’imbarazzo di tutti i suoi alleati, mentre di terroristi ne saltano fuori ancora a migliaia. La verità è che non serve, e comunque non basta, la forza militare per risolvere un problema così annoso. Da quasi un secolo terrorismo e relative reazioni non hanno portato che ad un peggioramento continuo della vita di tutte le popolazioni coinvolte. Serve un altro approccio. La pretesa di chi vuole cancellare Israele dalla carta geografica è assurda tanto quanto quella di ammazzare tutti i potenziali terroristi. Serve un processo di reciproco riconoscimento, di abbandono definitivo delle armi, serve l’impegno alla coesistenza pacifica ed ordinata. Capisco che oggi queste sembrino parole al vento, ma nessuno ha in mano strumenti efficaci per risolvere il problema in altro modo. Se tutta questa violenza non risolve il conflitto, solo la ragionevolezza e la pazienza possono evitare l’orrore della guerra infinita. Il mondo occidentale, comunque lo si contorni, ha la responsabilità di indurre le parti in causa a convivere in pace. Arrendersi all’ineluttabilità di una violenza perenne senza costrutto, sterile, senza prospettive, vuol dire riconoscere l’impotenza di tutto l’Occidente democratico. L’accordo del Venerdì Santo in Irlanda fu il frutto della ragionevolezza, dopo decenni di barbarie inaudita. Non ci si arrivò senza una precisa volontà politica, una forte determinazione a raggiungere un accordo e senza il riconoscimento dell’interesse comune a chiudere una pagina senza fine. Regge ancora dopo quasi trent’anni. I tre campioni di cui abbiamo descritto le prodezze non sono purtroppo i soli. Altri pericolosi autocrati sono all’opera in ogni parte del mondo: la grande maggioranza degli esseri umani non vive in regimi democratici. Affida le sue sorti a regimi dittatoriali o simili e spesso non se ne lamenta nemmeno. Si adatta. Dovunque la minaccia autocratica è concreta, anche se non è al Governo. Nessuno è al sicuro. Malgrado ciò, e malgrado la guerra faccia felice chi vende armi, tutti gli altri, e non sono pochi, non vedono l’ora di poter ricostruire e riprendere il “business as usual”. L’”economia di libero mercato”, espressione della volontà delle persone di muoversi, di avere relazioni, commerciare, scambiare merci e anche idee, è l’epitome della libertà degli individui, libertà che vuol dire anche uguaglianza dei diritti e dei doveri, uguaglianza che favorisce solidarietà e fratellanza. Insomma, quei principi sui quali è stato fondato il mondo moderno e che non possiamo lasciar cadere sotto i colpi del nazionalismo, del sovranismo, del suprematismo, dell’odio etnico o religioso. Non è finita … Allonsanfan!
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