Io andrò al seggio e ritirerò solo una scheda, quella relativa al referendum sulla cittadinanza. La mia partecipazione sarà conteggiata solo per quel referendum e non per gli altri quattro. Non sono soddisfattissimo di questa soluzione ibrida, forse anche un po’ tartufesca, ma non saprei cosa inventarmi d’altro. I quattro referendum sul lavoro sono talmente confusi, talmente ininfluenti, talmente simbolici e ideologici, che davvero non me la sento di partecipare, nemmeno per dire NO. Non bisognava proporli, e basta. La loro genesi sta tutta dentro alcune logiche perverse di certa sinistra che, incurante del momento storico, deve sempre tenere il punto, anche su questioni del tutto marginali e non dirimenti, solo per rimarcare la sua presenza. Con i referendum sul lavoro, così come sono formulati, non si risolve alcunché, si dà solo a Landini ed al suo sindacato (gli altri due maggiori si sono defilati) la possibilità di reclamare una presunta centralità nella politica italiana. Molto presunta. È stato detto molto bene che oggi i problemi del lavoro sono ben altri (non ho mai sopportato i cosiddetti “benaltristi”, ma come altrimenti potrei esprimere lo stesso concetto?). C’è, prima d’ogni altra cosa, un problema di livello dei salari e stipendi, fermi da tempo malgrado l‘inflazione, c’è il cosiddetto “lavoro povero”, ci sono gli enormi problemi connessi con la tumultuosa rivoluzione tecnologica, ci sono gli stages gratuiti, per giovani e meno giovani, autentica offesa ai sacrifici fatti per laurearsi, c’è la mancanza di posti letto per gli universitari, ci sono ancora i problemi del caporalato, malgrado una legge del 2016 di Teresa Bellanova permetterebbe di perseguirlo, ci sono altri mille e un problemi, serissimi, drammatici, urgenti, ma nessuno viene nemmeno minimamente sfiorato dai referendum proposti. Perfino quello sulla estensione delle responsabilità sulla sicurezza rischia di diventare una fonte di burocrazia e di infinite questioni giudiziarie. Ma perché farli, allora? Perché Landini ha bisogno urgente di visibilità, vuole accreditarsi come interlocutore, deve dimostrare di esistere e contare qualcosa. Lo ha già fatto nel 2010-11 quando, da solo con la sua FIOM, sfidò il mondo, gli altri sindacati, la logica e la tecnologia per cercare di impedire la riorganizzazione degli stabilimenti FIAT, prima di Pomigliano, poi di Mirafiori, contrastando l’adozione di un sistema di produzione diventato lo standard in tutto il mondo automobilistico. Partì a testa bassa e prese due sonore legnate da parte di una maggioranza di lavoratori che aveva capito che non si arresta l’evoluzione tecnologica con l’ideologia: compito del Sindacato è trattare le migliori condizioni per i lavoratori, non sfidare il progresso. La FIOM non firmò gli accordi relativi e fu letteralmente espulsa dalle fabbriche: un risultato semplicemente vergognoso per lo storico Sindacato delle tute blu. Il prode Landini non tremò e anzi costruì da lì la sua scalata alla CGIL, tentò pure la scalata politica (Coalizione Sociale), lo fermarono, andò avanti in attesa della rivincita, e adesso eccolo lì, pronto a prendere, se tutto andrà come si prevede, altre sonore le…zioni di politica del lavoro. La giovane segretaria movimentista del defunto Partito Democratico gli corre dietro, anche lei in palpitante attesa di un risultato visibile, che scuota dal torpore il povero Partito, che era nato con tutt’altre intenzioni (chiedetelo a Walter Veltroni …). Così, domenica prossima saremo costretti a partecipare (anche gli astenuti …) ad uno showdown tutto interno alla sinistra, che invece avrebbe tanti altri argomenti da sviscerare, analizzare, affrontare, ammesso che voglia davvero vincere le prossime elezioni. La destra di Governo guarda divertita, irride, se ne fotte, inventa sceneggiate come quella di andare a fare una passeggiata al seggio, due foto e poi via al pranzo domenicale. Tutto per compiacere l’ego debordante di un perdente cronico e recidivo e di una aspirante tale. Poveri noi! Da lunedì sera bisognerà rammendare per l’ennesima volta una tela strappata, sperando che altri e più attrezzati protagonisti possano presentarsi sulla scena, ammesso che ve ne siano e che ne abbiano voglia. Ricominceremo, come Penelope, senza la sicurezza che poi alla fine arrivi Odisseo a sgominare i Proci che abbiamo al Governo. Compito improbo. Comunque vada, i promotori cercheranno di accreditarsi tutta la partecipazione, NO compresi, per dimostrare che hanno raggiunto almeno un obbiettivo: portare alle urne un numero di persone superiore ai voti del centrodestra. Ben magra e misera soddisfazione: i Proci proseguiranno imperterriti nel loro malgoverno, ben consci che tanto non sarà cambiato nulla e che i cocci non resteranno nel loro campo. La politica ha bisogno di un disegno, di un progetto, di una visione, non di avventure estemporanee che non portano da nessuna parte. Un Partito politico vero è depositario di un progetto di trasformazione della società, corredato da riforme organiche capaci di cambiare lo status quo. Un movimento si accontenta di alzare polveroni, incurante di cosa resta dopo che la polvere si dirada. Abbiamo già sperimentato questo approccio con gente che pretendeva di avere “abolito la povertà” per decreto. Come diceva, anzi urlava, Winston Churchill nell'ora più buia, “quando impareremo la lezione?”.
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