Non tutti hanno l’onestà intellettuale di Mattia Feltri, direttore dell’HuffPost, che ha riconosciuto di avere preso un abbaglio nel giudicare “demenziale e suicida” la strategia e la conduzione della crisi da parte di Matteo Renzi. Non tutti, anzi ben pochi. E questo perché i pregiudizi sono duri a morire, perché lo “spin” ancora gira e soprattutto perché si vuole esorcizzare una presumibile persistente presenza del Senatore nel panorama politico italiano (indipendentemente da eventuali e forse improbabili incarichi futuri). Resta infatti intatta l’aspirazione dei più a vederlo sparire fuori ed oltre l’orizzonte. Ognuno può nutrire ovviamente le aspirazioni che vuole, ci mancherebbe altro; però uno sguardo ai fatti potrebbe aiutare a prendere posizioni un po’ più pragmatiche e meno preconcette. Da martedì sera in Italia è partito un esperimento finora mai tentato: formare un Governo “istituzionale” (si dice così perché nasce come iniziativa del Presidente della Repubblica e non come libera espressione delle forze politiche, che non ne sono state capaci), che NON ha come compito principale quello di risanare conti in dissesto, tagliare spese, aumentare tasse, promuovere rimaneggiamenti nel funzionamento dello Stato. Lacrime e sangue, insomma. Mi spiego meglio: non è che questo Governo dovrà nascere per fare finanza allegra, non scherziamo!, ma in questo caso l’emergenza prioritaria (ce ne sono anche altre, ahimè!, come il controllo della pandemia ed il piano di vaccinazione) sta nel programmare, progettare, eseguire e portare a compimento un gigantesco piano di spesa per la ricostruzione del Paese. Piano di spesa che è legato a filo doppio con un formidabile piano di riforme di sistema (giustizia, lavoro, pubblica amministrazione, infrastrutture, …). È una cosa mai successa in Italia, se si esclude il momento del Piano Marshall, dopo la guerra. È su questo, oltre che sulle contraddizioni palesi dell’alleanza giallorossa, che si è consumata la crisi: sulla evidente incapacità della squadra di Governo di Conte e soci di fare fronte ad un’incombenza inconsueta ma pesantissima, visto che quei fondi (fino a 300 miliardi di euro) ci saranno gentilmente elargiti, in parte a fondo perduto ed in parte a condizioni di assoluto favore, tramite debiti contratti da tutta l’Unione Europea. Soldi comuni da debito comune: mai visto nulla di simile. Capite come tutta la faccenda travalichi, e non di poco, i confini nazionali, per diventare un affare continentale e globale. È per questo che il Presidente Mattarella non ha avuto alcuna esitazione (sono passati pochissimi minuti tra la rinuncia di Fico e la convocazione di Draghi) a coinvolgere nell’impresa il personaggio in assoluto più preminente della Nazione. Qualcuno, a parte Toninelli e Di Battista, nutre dubbi che Mario Draghi sia l’italiano n.1 nella considerazione globale? Ecco, questa mossa del Presidente, insieme disperata e promettente, inconsueta e proiettata al futuro, evidenzia come le aspettative siano molto elevate, come ci si attenda dal nuovo Governo una composizione ed una prestazione di una qualità mai vista finora. Deve insomma essere il Governo dei migliori, dei più accreditati e dei più competenti, in linea con le caratteristiche del Presidente del Consiglio. Politico o tecnico, è questione di nessuna importanza, basta che si tratti di persone eminenti, competenti, votate alla realizzazione dei progetti e non alle chiacchiere. Nulla di meno potrà essere accettato, nessun compromesso al ribasso, nessun patteggiamento estemporaneo, nessun sotterfugio o “ammuina”: solo una spietata valutazione tecnica e politica dell’adeguatezza delle persone e dei programmi. Se ne faccia una ragione chi pensa di riesumare vecchi vizi nazionali. Già si vede il tentativo di smorzare, sminuire, di far credere che non c’è nulla di così eccezionale sotto il sole: si cerca di lanciare un nuovo “spin”, minimalista, ma stavolta gira poco, perché questa è una strada senza ritorno, pena la completa perdita di ogni credibilità del nostro sistema Paese. Se fallisse Draghi, se fosse costretto a rinunciare, o a portarci solamente ad elezioni anticipate, cosa penserebbero di noi in giro per il mondo? Le risposta è semplice: saremmo considerati definitivamente irrecuperabili e quindi messi da parte, scartati tra i “paria”, un disastro incalcolabile. Questa è la sfida che abbiamo davanti, aldilà del giusto entusiasmo provocato dalla scelta di Mattarella. È una sfida tremenda, che non può essere persa. Bisogna vincerla: “whatever it takes”, per citare lo stesso Draghi, che poi continuò con: “and, believe me, it will be enough”. In questa avventura non possiamo permetterci di stare solo a guardare come va a finire. Sarebbe auspicabile, opportuno, sarebbe meraviglioso, che le persone, i cittadini, dessero un segno, facessero capire di avere capito. Lo so, è difficile scendere in piazza in questi tempi, ma il ricordo di Piazza Castello piena, per due volte, fino all’inverosimile, di persone che chiedevano SI TAV per evitare il declino di un intero territorio è ancora troppo forte. Era solo un paio di anni fa. Era nato un bello “spin”. Ne servirebbe un altro adesso, perché, è sicuro, ne vedremo ancora delle belle … |