Chissà se dalle parti di un “certo PD” avranno capito che quello che è successo negli ultimi giorni, e nelle ultime settimane, si configura come l’ennesima, rovinosa sconfitta (si spera senza appello) di quella parte del Partito che uno dei suoi (ex) esponenti più significativi e fantasiosi ha chiamato “la Ditta”! Sto parlando di quel pezzo di Partito Democratico che ha sempre lottato strenuamente “contro” il Partito Democratico, “contro” la sua stessa (forse troppo) visionaria idea fondativa di voler mettere e tenere insieme, sotto lo stesso tetto, le mille anime della sinistra, da quella socialista a quella solidaristico-cattolica, da quella liberal-democratica a quella radicale, da quella ambientalista a quella federalista. Una pretesa sempre giudicata velleitaria ed improvvida, e accettata solo con il sottinteso, evidente ma non espresso, di assumerne l’egemonia, in nome della pretesa superiorità culturale, politica, perfino “morale” della scuola tardo-berlingueriana (quel Berlinguer ripiegato su se stesso e prigioniero del passato, dopo la morte di Aldo Moro). Non la vorrei fare tanto difficile, ma i vari Bersani, D’Alema, Bettini, Zingaretti, vengono tutti da una certa nomenclatura del PCI-PDS-DS che ha accettato l’idea del PD solo perché convinta di avere il diritto “naturale” di esercitarvi il dominio. Talmente convinta da adoperarsi attivamente contro tutti i Segretari che solo cercassero di realizzare quel programma riformista, che era il vero e solo e unico obbiettivo del Partito del Lingotto, quello che Veltroni ben delineò nel giugno del 2007, ben 14 anni fa. La prima vittima fu Veltroni stesso, ed è stato lui a dichiararlo in più di un’occasione, l’ultima martedì scorso su La Stampa. Poi toccò a Renzi, trattato come un corpo estraneo malgrado due vistose vittorie alle primarie e considerato ancor oggi una “metastasi” (esistono dichiarazioni esplicite) da importanti esponenti di quell’area. Ora potrebbe toccare a Letta e, se fossi in lui, non starei affatto “sereno”. Nell’intermezzo tra i Segretari “riformatori”, il PD ha espresso due Segreterie caratterizzate da una impressionante confusione di idee e di linee politiche, entrambe finite con dimissioni piuttosto ignominiose: - quella di Bersani, dopo una “non vittoria” in elezioni (2013) che dovevano essere vinte a mani basse e dopo il pasticcio della mancata elezione di Prodi al Quirinale, concluso con l’umiliante supplica a Napolitano di togliere le castagne dal fuoco;
- quella di Zingaretti, dopo l’altra umiliante figuraccia della totale subalternità a Conte, mentre Mattarella imponeva Draghi, in ossequio all’evidente necessità dello scatto in avanti richiesto da Renzi.
Ora tocca a Letta provarci. Ma già la contemporanea diffusione di due inattendibili, ma molto provocatorie, notizie (la candidatura, subito non confermata, di Gualtieri a Roma e quella, davvero surreale, dell’ex-ministro 5stelle Paola Pisano a Torino) la dice lunga sulla poca significatività e sulla quantità industriale di ipocrisia manifestatasi nell’elezione unanime di Letta a Segretario. Buon viso a cattivo gioco: la posizione di Zingaretti era diventata insostenibile, addirittura imbarazzante, per la quantità di contraddizioni, di indecisioni, di passi falsi, accumulati nel corso degli ultimi mesi, e così si è dovuto procedere ad un vistoso maquillage: ci ha pensato il solito Franceschini, inossidabile democristiano che non si perde mai d’animo, ed ecco la proposta ad Enrico Letta, che soddisfa tutta una serie di requisiti mica da poco: - parte, nell’immaginario mediatico, come arcinemico di Renzi (e questo è già un buon presupposto);
- viene da fuori Italia, da una prestigiosa università parigina, e quindi possiede quel tocco di internazionalità (non come Draghi, però …);
- è “un esule” molto dignitoso (quasi un cervello in fuga …);
- ha un curriculum di tutto rispetto e notevoli agganci internazionali;
- non è organico alla “Ditta”, ma non sembrerebbe (modo condizionale…) animato da furore “riformista”; un moderato.
Insomma, pare perfetto. E infatti l’hanno votato tutti. Adesso però viene il bello: - è sicuro che Letta si presterà ad essere e fare la foglia di fico alle pretese egemoniche dei soliti noti?
- è sicuro che metterà su una bella ammuina riformista ma poi, al momento opportuno, si farà “consigliare” dai soliti marpioni?
- è sicuro che non si metterà strani grilli per la testa e farà a modo suo, in obbedienza a tutto quanto ha studiato e rimuginato in questi ultimi sette anni?
Se volete la mia risposta, ve la do col cuore in mano: no, non è affatto sicuro. Ovvero, Letta potrebbe approfittare del potere a lui così largamente e generosamente attribuito e provarci, come Veltroni, come Renzi, che in questo frangente non sarebbe l’arcinemico, ma un prezioso alleato esterno, se solo Letta lo volesse … Certo, rischia di seguire la loro sorte e venire rigettato ma, come dicevano i Latini: “gutta cavat lapidem”, la goccia scava la pietra. Anche la più dura, caratteristica questa che non si addice alla “Ditta”, piuttosto simile ad un muro di gomma; col che un’azione non energica ed impulsiva, ma delicata e persistente, potrebbe parimenti essere efficace. Noi aspettiamo pazienti, ma all’occorrenza pronti a dare una mano d’aiuto …! La questione ci riguarda, e da vicino. Rinnovo gli auguri al Segretario!
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