Dunque, ricapitoliamo. Se a me sembra naturale affermare: “Chissenefrega dei cinquestelle!”, a qualcun altro sembra altrettanto naturale fare del rapporto con gli stessi un obbiettivo politico prioritario (qualsiasi cosa questo significhi …). Fin qui, ognuno ha le sue idee. Però, però, …, se a fare del rapporto coi 5S un obbiettivo politico è una parte che si dichiara apertamente “di sinistra”, a me viene da pensare. Cogito, ergo scribo (con mille scuse a Cartesio). Da una cinquantina d’anni abbondanti io mi ritengo “di sinistra”. Da quando ero un anomalo liberale di sinistra (1969, espulso dal vecchio PLI di Malagodi) fino alla frequentazione dei movimenti studenteschi degli anni Settanta, all’avvicinamento al promettente PCI berlingueriano (prima del suo tragico riflusso degli anni Ottanta), alla lunga attesa della trasformazione del PCI in una “cosa” più adeguata alle esigenze di fine secolo, PDS, DS, l’Ulivo, il PD, fino al trauma del referendum, con la crisi rapidamente rotolata verso una (ennesima) scissione, consumata nella speranza di dare un contributo più efficace al riformismo. Tutto un lungo percorso, a volte tortuoso ed accidentato, ma sempre inequivocabilmente a “sinistra”. Già, perché per me la “sinistra” è una categoria dello spirito, quasi una classificazione antropologica: quelli che mettono l’uguaglianza (dei diritti, dei doveri, delle opportunità) davanti alle libertà individuali, quelli che ritengono sia possibile sviluppare e godere delle libertà individuali solo all’interno di un sistema organizzato, regolato e solidale, chiamato società. Per essere più chiari, ecco ancora le parole di Margareth Thatcher, donna schiettamente di destra, per quanto democratica: "... non esiste la società. Ci sono singoli uomini e donne e ci sono famiglie. E nessun governo può fare altro che attraverso le persone, e la gente deve prima prendere cura di se stessa. È nostro dovere prendere cura di noi stessi e poi, anche, prendere cura dei nostri vicini” (1987). C’è quindi una bella distinzione tra destra e sinistra, e dopo c’è anche quella tra conservatori e progressisti, e non sempre sono sovrapponibili. Poi ad un certo punto (la faccio breve) arriva Beppe Grillo, un comico a fine carriera che, insieme ad una specie di santone “new age” come Casaleggio padre, comincia a confondere le acque, approfittando dello smarrimento generale provocato da vent’anni di berlusconismo e altrettanti di incertezze (chiamiamole bonariamente così…) della “sinistra” (o centrosinistra che dir si voglia). Ed ecco tutto l’armamentario che conosciamo e che purtroppo abbiamo visto all’opera nei governi Conte uno e Conte due: populismo allo stato puro, esplicita negazione di ogni connotazione politica (né di qua né di là, … oltre…), improvvisazione, pressappochismo, incompetenza, spesso crassa ignoranza, e questo sia a livello locale (Roma e Torino ne hanno fatto le spese) che a livello nazionale, con un personale politico ai limiti dell’incredibile per impreparazione, supponenza e pure rapacità. Ora, che questo improbabile caravanserraglio possa diventare un partner politico per qualcuno che si dichiara espressamente di “sinistra”, a me un po’ fa pensare e un po’ mette i brividi. Mi assale una crisi di identità: io, lontano anni luce dalle baggianate pentastellate, posso quindi ancora dichiararmi “di sinistra”? Posso considerare di sinistra il giustizialismo manettaro di Travaglio e Davigo, le farneticazioni sulla democrazia diretta di Conte, le scivolate verso i gilet gialli di Luigi Di Maio, la comunicazione artificiale di Rocco Casalino, il dilettantismo di tutto il personale politico, …? No che non posso. Ma qualcuno sì: la nuova corrente “thailandese” del PD, leader Goffredo Bettini, autocollocatasi appunto a “sinistra” nel variegato panorama del PD, rimette al centro Giuseppe Conte come “punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste” e chiama a raccolta rilevanti personalità, tutte con indiscutibili pedigree di “sinistra”. E comunque, anche oltre Bettini, tutto il PD continua a struggersi nel dibattito sui cinquestelle. Qualcuno a questo punto dirà: “Ma i cinquestelle vi hanno portato via milioni di voti …”. Vero, innegabile. Ma per riprenderceli, se davvero vogliamo riprenderceli, siamo sicuri che bisogna passare da Conte, Grillo, Di Maio, Bonafede, Toninelli, …? Se accettiamo acriticamente che quella è “sinistra” (D’Alema sosteneva che anche la Lega era una “costola della sinistra”), siamo sicuri di non prendere un colossale abbaglio, regalando dignità e spazio politico ad un gruppo di mediocri politicanti, che invece non sa che posizione occupare, non ha visione né progetto, e che in questo momento cerca solo di mantenere le posizioni di potere fortunosamente accaparrate? Non dovremmo invece correre ventre a terra per predisporre progetti e proposte buoni a convincere l’elettorato, anche quello che se ne è andato, che il centrosinistra è l’unico a sapere cosa fare e dove andare? Per cui ripeto: “Chissenefrega dei cinquestelle”. Vogliamo pensare a come vincere, noi di centrosinistra, tutte le prossime elezioni? PS: non voglio addentrarmi in distinzioni tra le varie millanta componenti del centrosinistra, perché credo fermamente che tutte dovrebbero fare lo sforzo coraggioso di proporre agli elettori un programma di riforme serio e fattibile. Sono sicuro che ne siamo capaci. Anzi, c’è chi lo sta già facendo …
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