Sto per affrontare un argomento molto delicato, e lo faccio in modo poco consueto, forse anche inopportuno e politicamente scorretto.La questione israelo-palestinese, per come essa si presenta a tutt’oggi, è semplicemente irrisolvibile. Non vedo infatti (ma non è solo un mio problema ottico) in nessuna delle parti in causa, direttamente o indirettamente, alcuna intenzione di avviare una possibile e realistica risoluzione, o almeno un appianamento, del conflitto. La storia di “due popoli, due Stati” è palesemente irrealistica: se ne parla da decenni e non si è mai trovato il modo di renderla possibile. E così, a scadenze più o meno periodiche, assistiamo ad esplosioni di violenza da entrambe le parti, e non credo sia molto utile star lì a cercare di discernere chi abbia cominciato prima, chi sia più spietato, chi abbia qualche ragione o torto in più. Impresa complicata e soprattutto inutile. Certamente, la destra israeliana al potere è aggressiva e molto poco propensa al dialogo, così come Hamas, che continua a negare perfino il diritto all’esistenza di Israele. Sono posizioni evidentemente inconciliabili, lo sono sempre state e non c’è motivo razionale di credere che la situazione cambi. D’altronde, facendo sempre le stesse cose, si ottengono sempre gli stessi risultati. Serve perciò un profondo cambiamento di paradigma, anche se ciò può apparire impossibile, irrealistico, perfino utopistico, o addirittura naif. In quella terra da millenni convivono etnie, religioni, civiltà diverse. È un fazzoletto di terra che è impensabile cercare di dividere ulteriormente in modo stabile e pacifico. L’unica strada è la CONVIVENZA. Ma non una convivenza forzata, fatta di rivalse, di antagonismo, di distinzioni, di intolleranza reciproca. E nemmeno una convivenza basata sulla contrapposizione di due entità statali distinte, incompatibili e necessariamente in competizione, se non in aperto conflitto, tra di loro. No, una convivenza NORMALE, come quella che si realizza in tutti gli Stati occidentali moderni. Bisogna smontare alla base le fondamenta dell’odio, della incompatibilità, a partire dall’aspetto più vistoso, ovvero quello religioso. Da secoli su quel lembo di terra sono presenti, con forte radicamento, tutte le religioni monoteistiche: ebraismo, islam, cristianesimo nelle sue varie confessioni. Pensare di fondare una convivenza sulla divisione è puramente irresponsabile, oltre che impossibile. L’unica via è la coesistenza, la tolleranza tra le religioni monoteistiche, quella che pervicacemente e meritoriamente Papa Francesco sta predicando fin dall’inizio del suo Pontificato. Ottenendo perfino qualche successo: Dio, se c’è, è uno e quindi uguale per tutti. In campo politico questo approccio significa una sola cosa: non la chimera dei “due popoli, due Stati”, Stati che come detto continuerebbero ad essere l’un contro l’altro armati, ma UNO Stato, purché LAICO, ovvero multireligioso, multiculturale, multietnico, ovviamente democratico. Né più né meno come tutti gli Stati occidentali moderni. Perché ciò che è possibile da secoli, seppure non senza difficoltà, in Francia, in Italia, in Germania, nel Regno Unito, non deve essere possibile anche su quella sponda del Mediterraneo? Perché non si può assumere questo come obbiettivo comune? È una domanda naif? È una domanda difficile? Certo che lo è, ma sembra facile, o sostenibile, la situazione che abbiamo sotto gli occhi? Israele è uno Stato confessionale, uno Stato “ebraico”: è scritto (da non molti anni, tra l’altro) anche nella sua Costituzione, e questo anacronismo, peraltro incongruo con le origini di Israele, rende impossibile la coesistenza con altre realtà altrettanto confessionali. Perché in quell’area non può nascere uno Stato laico e democratico, come ce ne sono tanti nell’Occidente? Di cosa ha paura la classe dirigente ebraica? Teme di essere scalzata? Teme la competizione democratica con le altre realtà del territorio? La primazia economica e tecnologica ce l’ha già oggi; vuole mantenere anche una primazia culturale? Ma a che titolo? Nessuno minaccia la cultura ebraica, se essa non pretende di diventare dominante sulle altre. Capisco l’enormità degli ostacoli, ma la comunità internazionale dovrebbe provare ad imporre (con risolutezza, certamente non con la forza) la nascita di uno Stato accogliente, tollerante, dove le diversità siano ricchezza e non motivo di odio reciproco, isolando le frange estremiste, integraliste, intolleranti e permettendo alla maggioranza certamente pacifica della popolazione di vivere in pace e nel rispetto reciproco. Ciò riporterebbe l’iniziativa in mano ad un Occidente che in quell’area sta diventando semplicemente ininfluente. Io credo che i tempi siano maturi per un salto strategico. Non mi illudo che l’attuale destra al governo in Israele sia neanche minimamente disponibile a trattare in tal senso, così come anche Hamas e gli integralisti, ma le popolazioni, le persone normali che vivono e lavorano, non sarebbero felici di poter inaugurare un nuovo ordine? Un forte Stato laico e democratico nell’area dovrebbe confrontarsi con le potenze confinanti, che coltivano ambizioni egemoniche (Turchia, Iran); potrebbe entrare nella NATO (se ci può stare la Turchia …) e stabilire rapporti strutturali anche con l’Unione Europea; potrebbe forse avere un impianto federale, per garantire maggiormente le autonomie locali, ma con un forte governo centrale, dove siano rappresentati democraticamente tutti gli interessi in gioco. Le religioni, ebbene, ad ognuno la sua, con il venerdì musulmano, il sabato ebraico, la domenica cristiana. È un’ipotesi naif, lo capisco, e io non ho certamente le competenze per sviluppare un progetto diplomatico di questa portata. È un sogno. Ma non è un sogno naif pensare, pretendere, che da qualche parte si debba pur cominciare per arrivare a smontare una guerra infinita che si avvia a diventare una "guerra dei cent’anni”.
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