L’inveterata abitudine (direi piuttosto il vizio …) dei nostri “sapienti” notisti politici di leggere (loro che la sanno lunga …) tra le righe, dimenticando le righe, e di sbirciare il retroscena invece di guardare la scena, unita alla disperata ricerca di appigli per creare difficoltà ad un Governo che vorrebbe e dovrebbe essere riformista, hanno innescato l’ennesimo corto circuito mediatico. Il solito “spin”.Che non è, in questo caso, una caratteristica peculiare delle particelle subatomiche, ma la rotazione, il verso, che si vuole dare ad una situazione, quando se ne vuole insomma imporre un’interpretazione, solitamente funzionale ad uno scopo prefissato, e quasi mai dichiarato. Una porcata, insomma, per dirla alla Calderoli. Un condizionamento mediatico, mirato alla formazione di un’opinione generalizzata, tale da rendere inaccettabile qualsiasi opinione diversa. L’anno scorso di questi tempi era ”l’irresponsabilità”, la “follia”, la “cinica spregiudicatezza” di chi voleva mandare via il mellifluo, sulfureo, soporifero, Avvocato del Popolo assurto, appunto a furor di (certo) popolo, al rango di “punto di riferimento fortissimo del riformismo europeo”. Qualcuno se ne vergognerà mai? La risposta è NO. Pazienza. Quest’anno lo “spin” inarrestabile è stato (ed è ancora) la supposta, e in realtà mai avvenuta, autocandidatura di Draghi alla Presidenza della Repubblica, diventata l'arma con cui i suoi nemici (la maggior parte dei quali, eccetto Travaglio, non dichiarati) hanno cercato di destabilizzarlo. Fin dalla conferenza stampa di Natale, è risultato chiaro che la ovvia disponibilità, onestamente palesata da Draghi, per ogni ruolo istituzionale è stata violentata e strumentalizzata al solo scopo di delegittimarlo. E ancora adesso questa "vulgata", questo "spin", viene utilizzato senza ritegno anche da insospettabili e teoricamente indipendenti “maître à penser”. Ora, indebolire e disinnescare Draghi è l'obbiettivo dei conservatori veri, quelli che hanno in uggia qualsiasi tentativo di cambiare gli equilibri consociativi della nostra organizzazione sociale. Sono annidati ovunque, difendono lo “status quo”, perché sanno che riforme vere, come quella della concorrenza, della giustizia (CSM in primis), del fisco, delle pensioni, per non parlare di scuola e infrastrutture, minacciano posizioni di privilegio consolidate. Ad esempio, avete presente quale sconquasso di poteri diffusi abbia provocato la riforma della banche popolari del 2015, una delle più dirompenti riforme del triennio renziano? L’eco risuona ancora oggi. Draghi disinnescato al Quirinale avrebbe lasciato campo libero, la gestione dei prossimi cinque importantissimi anni tutta in mano alla vecchia politica, senza fastidiose interferenze. C'è da sperare che i resistenti e coriacei conservatori non ce la facciano: dopo la rielezione di Mattarella, Draghi è senz’ombra di dubbio molto più forte di prima e io mi auguro che riesca ad usare la sua forza per realizzare le riforme che servono. Un'altra componente dello “spin” prevede che chi sostenga questa avventurosa e balzana idea sia automaticamente definito, non senza una bonaria irrisione, un inguaribile ingenuo o, peggio ancora, un volgare leccapiedi, prono ai poteri forti. A complemento, lo “spin” prevede di disegnare Draghi come un arrivista molto ambizioso, che avrebbe brigato non poco per insediarsi al Quirinale e che, solo dopo avere constatato il fallimento di tutti i suoi obliqui sforzi, avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, diventando addirittura il tramite per il quale i Partititi si sono consegnati alla clemenza di Mattarella. Io, ingenuo posso anche esserlo, ma prono leccapiedi proprio no, visto che ci guadagno al massimo qualche pietoso risolino di scherno; infine, Draghi dipinto come cinico arrivista pronto a tutto fa davvero ridere, e non poco. Ricordo che l’uomo ha avuto tutto nella vita, è stato in certi momenti la persona più influente del pianeta, ha fatto tremare mercati, ministri e giudici tedeschi, ha salvato l’euro e l’economia europea (nessuno discute su questo, forse nemmeno Travaglio). Ora, andare al Quirinale a completare la sua carriera certamente non gli dava fastidio, poteva anche solleticarlo nella sua vanità (tutti ne abbiamo una), ma credete che avrebbe potuto assistere dal Colle, pressoché impotente, all’eventuale naufragio dei progetti italiani, solo per il gusto di avere conquistato un altro (e alto) traguardo istituzionale? Draghi, en passant, ha sei anni in meno di Mattarella; quindi, al prossimo giro, nel ‘29, avrà più o meno la sua età attuale, certamente non incompatibile con la carica. E allora? Meglio diventare Presidente adesso e lasciare il Paese in mezzo al guado (guado peraltro appena imboccato), oppure dopo averlo portato definitivamente fuori dalle secche, a conclusione di un auspicabilmente positivo processo di riforme e risanamento? Meschino contendente di Frattini e della signora col cellulare, Elisabetta Casellati, o trionfale, unico ed insostituibile Salvatore della Patria? Voi che ne dite?
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