Chiusa la partita del Quirinale (e di Palazzo Chigi) con la riconferma dei pezzi da novanta della nostra politica, si stanno sviluppando alcuni fenomeni, alcune manovre, su cui vale la pena soffermarsi.La prima: impedire in tutti i modi un rafforzamento di Draghi, che ora è davvero difficile mettere in discussione, almeno fino alle prossime elezioni; queste, si sa, dovrebbero cadere la prossima primavera, ma da ottobre in avanti potrebbero essere convocate in ogni momento, maturando i parlamentari di prima nomina la pensione a settembre. Da molte parti c’è un gran dire che in realtà Draghi è lo sconfitto, perché non è riuscito ad andare al Quirinale secondo i suoi desideri, che si è indebolito, che troverà un Vietnam continuo, eccetera eccetera. La paura inconfessata ed inconfessabile di tali esponenti della nostrana saggezza politica è che un Draghi lanciato nelle riforme sarebbe molto difficile da far sloggiare tra un anno e quindi, di riffa o di raffa, se lo ritroverebbero tra i piedi con la sua “arroganza”, il suo insopportabile decisionismo e la sua determinazione a raggiungere gli obbiettivi europei. Brutto scenario per chi non ama i cambiamenti … La seconda (diretta conseguenza del primo): tenersi un po’ a distanza, non coinvolgersi troppo. Stare al Governo con nonchalance, come se fosse dì un atto dovuto ma non troppo impegnativo … passavo di qua … Vale per Lega e M5S (o parte di esso …, ma chi lo sa quale e quanta parte?). Stare con un piede dentro ed uno fuori, partecipare ma sempre “criticamente”, pronti a cogliere qualsiasi pretesto per distinguersi, atteggiamento che verrà buono nella futura campagna elettorale. Pronti ad attribuirsi ogni eventuale successo, ma prontissimi anche a sfruttare eventuali difficoltà, per sottolineare qualsiasi differenza che possa caratterizzare la loro identità. Il gioco è pericoloso ma, con il buon controllo che hanno dei mezzi d’informazione e dei social, è agevolmente fattibile. Certamente non si spaventano, tanto più che questa strategia serve anche a coprire i furiosi regolamenti di conti interni, che possono divampare da un momento all’altro. La terza: il PD deve decidersi e, tanto per cambiare, non sa da che parte andare. O almeno, è tentato di andare da tutte le parti. Ha capito che ormai non può più appiattirsi sul movimento (rischia il suicidio in diretta), ma deve lo stesso tenersi disponibile, casomai si aprisse qualche spiraglio per il sempre meno definito “campo largo” di Letta. Le enne-mila correnti che lo compongono coprono tutte le varianti, ma l’unica cosa certa è che tutti vorrebbero assumere un ruolo egemone di un’area il più larga possibile; e questo vuol dire tenere insieme componenti che invece insieme fanno sempre più fatica a stare. Il potere, anche intendendolo nel senso migliore, è sì un ottimo collante, ma l’elettorato, quei milioni di voti incerti, ballerini, evanescenti che bisognerebbe mobilitare, non è detto che possa accontentarsi di operazioni generiche e di facciata. La quarta: buttiamo Renzi a destra, ovvero cerchiamo di annacquarlo e neutralizzarlo. “Vaste programme”, avrebbe detto il Generale De Gaulle. Renzi non è uno che si fa manipolare facilmente. Di solito è lui che manipola, nel senso che opera con una certa riconosciuta abilità per perseguire gli obbiettivi politici che si è prefissato. Da mesi parla di una forza europeista alla Macron, riformista, laica, attenta alle esigenze sia dei ceti produttivi che dei lavoratori, una forza liberal socialista, non ideologica, pragmatica, fortemente alternativa ad ogni forma di sovranismo e di populismo. Insomma, quello che doveva essere il PD delle origini, prima che si lasciasse avviluppare e smembrare dalle secolari contrapposizioni tra riformisti e massimalisti, nonché dal conservatorismo di certi settori sociali. Renzi per il PD è imbarazzante da gestire, rappresenta una spina nel fianco, la sua cattiva coscienza; è oggettivamente un pericolo, al pari di Draghi, anche perché non nasconde affatto (o la nasconde appena) l’intenzione di dare a Draghi la possibilità di continuare la sua azione di Governo, anche dopo le prossime elezioni. Bisogna però costruire uno scenario che lo permetta. E non è affatto banale. In queste cose Renzi è molto bravo, tutti lo sanno, quindi per neutralizzarlo bisogna forzargli la mano, bisogna spingerlo laddove abbia meno possibilità di manovra. Allora tutti (i concorrenti politici ed i loro corifei mediatici) montano lo “spin” che ormai lui va a destra (lo dicono incessantemente ed inutilmente da una decina d’anni, e non si stancano: repetiva iuvant): certo non a destra con Salvini o Meloni, ma con Berlusconi sì. Una volta fatto passare questo messaggio, tutto diventa (diventerebbe) più semplice. Renzi con Mastella, Renzi con Berlusconi, Renzi con Toti, Renzi con Micciché. Renzi come Fini, e ci ricordiamo che fine abbia fatto. Che se lo smazzino loro … Ecco, queste manovre a me paiono evidenti. Ce ne saranno anche altre. Aspettiamo, ad esempio, di vedere come reagiranno nei fatti le toghe e i loro amici, nei media ed in Parlamento, alla dura e chiara reprimenda di Mattarella. A battere le mani sono buoni tutti, ma alla prova dei fatti … vedremo. Vedremo come e se si riformeranno le pensioni, o la concorrenza, il fisco, il catasto; le cose al fuoco sono tante e le occasioni politiche altrettanto. La battaglia è appena cominciata e ne vedremo delle belle. I duri giocheranno, altri trameranno, a noi il compito di vigilare, attentamente, perché i movimenti sotterranei, inclusi passaggi “segreti”, che si sono visti o intuiti negli ultimi giorni della settimana quirinalizia non sono stati proprio rassicuranti. Il primo a vigilare sarà Mattarella, ma non sarà il solo. Stavolta è difficile che tutto resti com’era prima … ci aspetta un quinquennio da brividi. Guarda un po', “Brividi” ha vinto a Sanremo …
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