L’antiamericanismo è vecchio quasi quanto l’America. Gli inglesi si videro sfuggire una ricca colonia (… 13 colonie, come le strisce della bandiera “stars and stripes”), strappatagli di mano da un popolo di supposti bifolchi, la maggior parte reietti della società europea, che si erano emancipati al punto da ribellarsi e proclamare l’indipendenza degli Stati Uniti nel 1776 (4 luglio), sugellata con il Trattato di Parigi dopo una sanguinosa guerra durata 7 anni (1783). Era la prima nazione al mondo basata su una democrazia liberale di stampo costituzionale (cfr. Wikipedia), e da allora divenne il punto di riferimento per tutta la successiva storia europea, a partire dalla Rivoluzione Francese del 1789. Ne è passato del tempo, la Storia ci ha consegnato mille episodi, edificanti e meno edificanti, quelle 13 colonie sono diventate 50 Stati Uniti, una grande potenza economica, militare, tecnologica, culturale, perfino morale, anche se quest’ultima connotazione ha suscitato da sempre molte controversie e perplessità qui in Europa e nel resto del mondo. Fondati sulla libertà economica, su un capitalismo che spesso si è dimostrato predatorio, ma anche promotori, con il new deal rooseveltiano tra le due guerre, della dottrina dello Stato Sociale, gli Stati Uniti, dopo la guerra che liberò l’Europa dall’incubo nazista, sono diventati inevitabilmente il baluardo del mondo occidentale contro il sistema sovietico, che per settant’anni ha preteso di configurare un’alternativa di sistema al mondo occidentale. Quarant’anni di guerra fredda hanno consolidato tale contrapposizione, che ancora oggi stenta ad essere superata, almeno in quegli ambienti ancora legati a vetusti concetti di sinistra. Insomma, per molti gli Stati Uniti hanno rappresentato e sono rimasti l’avversario storico, culturale, della sinistra: da quando si marciava contro la guerra del Vietnam a quando si marciava contro quella in Iraq. E poi c’era il Cile di Allende, Abu Ghraib, Guantanamo, le rendition, un’infinità di motivi per condannare l’”imperialismo amerikano”, facendo finta di dimenticare che dall’altra parte della cortina di ferro c’era un regime disumano, illiberale, dispotico, che del socialismo conservava solo, ed a stento, il nome. Caduto il muro nel 1989, l’impero sovietico si è sgretolato perdendo un po’ di pezzi (tra cui l’Ucraina), ma inaugurando subito dopo un regime che per un po’ si è camuffato da democrazia (e qui in molti, a destra e a sinistra, per convenienza o per pigrizia mentale, ci hanno creduto) e poi pian piano è diventato (o si è mostrato, essendolo in realtà sempre stato …) quello che vediamo oggi: uno Stato capace di aggredire ed invadere un pacifico (sì, pacifico, perché l’Ucraina non costituiva minaccia per chicchessia) Stato confinante e cercare di distruggerlo a cannonate. Chiaro che sia diventato difficile, anche per i più “fedeli alla linea”, sostenerlo apertamente. E infatti nessuno (o quasi) lo fa. Ma diventa però altrettanto difficile continuare con il solito refrain anti-amerikano, visto che gli USA non sono direttamente parte in causa e che, se condanni proprio tutto il mondo (sulla Cina stendiamo un pietoso velo), puoi più solo chiedere a Elon Musk di procurarti un passaggio per Marte sulla prossima astronave in partenza. E i tempi di attesa sono un po’ lunghi… Non potendo appoggiare Putin e non potendo più condannare gli USA “a prescindere”, che si fa? Con chi ce la prendiamo? Bisogna trovare un altro obbiettivo, almeno altrettanto fungibile. Ed eccolo lì, bello e pronto per i media: il quasi ottantenne Joe Biden, il Presidente, che per Costituzione rappresenta sì gli Stati Uniti, ma che più dello Stato è inquadrabile nel mirino di chi cerca un facile bersaglio da colpire. Bisogna distruggere o meglio sputtanare (mi si perdoni il francesismo) il simbolo, l’uomo esposto, squalificandolo e togliendogli (cercando di togliergli …) autorevolezza. Si ripescano quindi gli epiteti coniati da quel sincero democratico di Donald Trump (“Sleepy Joe”), gli si attribuiscono non dichiarazioni ma solo gaffe, qualsiasi cosa dica deve subito diventare segno di inadeguatezza al ruolo. Un ruolo, si badi bene, consegnatogli da quasi 90 milioni di americani, con uno scarto di 10 milioni di voti su Trump, l’uomo che ha rappresentato il punto più basso raggiunto dalla democrazia americana. Se si crea lo “spin” del gaffeur, scapparne è arduo. Media, social, perfino accorti politici, si autoalimentano in un circolo vizioso e interminabile. Effetto collaterale e perverso del populismo, ognuno gioca a giudicare i leader come a X Factor, dimenticando che i leader non sono lì per caso (neppure Giuseppe Conte, il più improbabile di tutti ...). Ma un uomo di 80 anni, che fa politica da oltre 50 anni, che ha ricoperto tutti i massimi ruoli possibili, che fa il Presidente dell’unica Grande Potenza democratica rimasta sulla faccia della terra, può davvero parlare a vanvera, come si pretende abbia fatto in Polonia, a poche miglia dai confini della Russia? Ma davvero? Tra l’altro, contrariamente a quanto tutti ripetono a pappagallo, Joe Biden NON parlava a braccio, leggeva dal “prompter” (controllate il filmato!) un articolato discorso preparato dai e con il suo staff, mica dagli autori di un show della TV. Quelle parole, come anche il “macellaio”, potrebbero essere state un segnale diretto a qualcuno dentro il Cremlino, per dirgli che gli USA sono pronti ad aiutare un eventuale cambio di regime. “For God’s sake, this man cannot remain in power” a me è parsa una chiara indicazione politica, altro che una gaffe. E chi doveva capire ha senz’altro capito. Anche il famoso “Mr. Gorbachev, tear down this wall!” di Ronald Reagan, nel 1987 davanti alla Porta di Brandeburgo, fu un’altra supposta imprudenza, eppure cambiò il mondo. Ed era addirittura una citazione da “The Wall” di Roger Waters e i Pink Floyd … Il pur grande Barack Obama, forse condizionato dal Premio Nobel per la pace, si dimostrò molto timido in politica estera e forse ora ne vediamo le conseguenze. Ma solo la Storia potrà emettere sentenze, non certamente il popolo dei social, smanioso di dare giudizi sempre falsamente definitivi su tutto. Così sarà per Biden e per gli USA, per il “macellaio” Putin e per la Russia, come per l’Europa, che stenta a trovare il suo posto, e per la Cina che il suo posto se l’è già preso. Allora, cari anti-americanisti di ritorno, lasciate perdere gli “spin”, cercate di guardare con un po’ di lucidità una realtà terribile, fatta di bombe e cannonate, che non può essere equivocata. Chi ha ancora il prosciutto sugli occhi se ne faccia un sandwich; chi ha il compito e anche la responsabilità di farci uscire da questo infernale pasticcio ha già un peso tremendo da sopportare: aggiungerci lo scherno ed il pregiudizio ideologico non sembra una buona idea. Fortunatamente i destini del mondo non si decidono nei sempre più insopportabili talk show o tra i fieri leoni da tastiera dei social, per quanto possano illudersi di contare qualcosa. “Le chiacchiere se le port lu vend”, si dice nella mia terra d’Abruzzo.
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