Nella mia precedente newsletter ho fatto un po' di ironia sulle contraddizioni che una parte della sedicente sinistra si trova a vivere in questo travagliato frangente.Forse ci sono riuscito, forse no. Vorrei però comunque mettervi a parte di un sequel del dibattito, che mi pare possegga una forza ed una chiarezza tali da renderlo ancora più efficace. Il mio amico e compagno Sergio Staino ha inteso riprendere il discorso, rivolgendo il testo che segue ad un ipotetico “compagno ed amico”, uno della “Pace Proibita”. Lo fa con un’onestà ed un’efficacia che vorrei poteste apprezzare, come ho fatto io. Caro A., come direbbe Amleto, ci sono più cose che ci uniscono tra cielo e terra di quanto entrambi si riesca ad immaginare. E’ un po’ troppo sommario e, quindi, superficiale, separarci ferreamente come generazioni: sia la mia che la tua, cioè quella dei miei figli, presentano al loro interno una miriade di letture e orientamenti diversi e una miriade di posizioni spesso profondamente contrastanti tra loro. Io, da piccolo, mi sono abbeverato avidamente ai valori del cattolicesimo e del comunismo, la solidarietà, l’altruismo e, purtroppo, anche la violenza come generatrice di libertà collettive. Il mio sentimento oggi non è quindi quello di un fallito ma di una persona consapevole che cerca di capire, e in parte credo di esserci riuscito, quali sono stati gli inganni ed errori che tragicamente ho condiviso. Credo che l’errore fondamentale sia stata l’affannosa ricerca di certezze, di sicurezze, di giudizi assoluti ed infallibili. Ho creduto ciecamente alla giustezza della scissione di Livorno del ’21, ho creduto ciecamente alla definizione socialfascisti che abbiamo affibbiato alla corrente riformista del PSI ed ho creduto ciecamente alla dittatura del proletariato inventata da Lenin. In pratica ho creduto che un gruppo di persone illuminate, collocate al potere da una rivolta di popolo, avessero il diritto di esercitare un potere assoluto di vita o di morte su tutti, per raggiungere al più presto al paradiso in terra. Per questo sono stato affascinato più da un rigido poeta come Bertolt Brecht che da un generoso insicuro come Majakovskij. Nella sua poesia “Ai posteri” Brecht era stato chiaro: “noi che aprimmo la porta alla gentilezza, noi non potemmo essere gentili”. E quindi tutto bene: repressioni, gulag, genocidi, Grostad, Budapest, Praga ecc. ecc. Alla fine con la destalinizzazione l’abbiamo giudicata un tradimento e abbiamo guardato verso Cuba e, soprattutto, la Cina. “Il potere politico nasce dalla canna del fucile” sentenziava Mao e noi tutti in corteo ad osannare la santa guerra del Vietnam e la santa guerra dei castristi contro l’imperialismo americano. Gandhi e Bertrand Russel li guardavamo con un po’ di sospetto. Fu li che arrivò il terrorismo, l’azione esemplare, rivoluzionaria che avrebbe aperto gli occhi alle masse e avrebbe costretto il capitalismo a mostrare il suo volto feroce. Per fortuna non ci sono cascato, quel che mi rimaneva sul fondo del cuore del riformismo del nonno, di Togliatti ma anche di Don Milani e Padre Balducci mi hanno impedito di fare questo tragico passo. Ma presto ho capito che quei grandi valori solidali che coloravano la visione della città futura di ispirazione anarchica e libertaria non potevano sposarsi con la violenza come metodo di costruzione politica. La violenza era santa e rivoluzionaria solo come difesa armata da un attacco armato portato avanti dalle forze reazionarie: Vietnam, Nicaragua, Cile ecc… Quei valori primordiali legati alla generosità andavano profondamente correlati alla gentilezza del riformismo, alla costruzione collettiva, il più possibile pacifica, ma per far questo occorreva agire con grande cultura e conoscenza. Queste due sono le cose più difficili da realizzare: la cultura e la conoscenza costano fatica, tanta fatica, e troppo spesso si preferiscono a queste improvvisazione e superficialità. E’ questo che io rimprovero alla vostra generazione caro A.: troppo cuore e troppa improvvisazione. Ed è per questo che ho colto fin dall’inizio il terribile inganno del populismo di un Grillo, personaggio indegno e osceno, vanitoso, arrivista e profondamente egoista, supportato purtroppo da persone meravigliose quali un Dario Fo o un Rodotà. Ed è per questo che ancora oggi mi impaurisco quando vedo belle persone come Fiorella, Sabina, Moni e te infiammarsi per l’ennesimo improvvisato capo popolo, mosso solo dalla vanità personale urlare in piazza con la stessa facilità, pensando di rovesciare il mondo. Urlare “Pace” come se fosse l’ennesimo “Vaffa”. Mi intristisce molto. Esistono guerre ingiuste ma esistono anche guerre necessarie: fu necessaria la guerra di resistenza al nazifascismo ieri, è necessaria la guerra all’invasione putinista oggi. Detto questo, discutiamo: come dove, quando e quanto ma anche quanto questa guerra giusta può essere gravata e falsata dagli interessi delle varie potenze in gioco, dagli USA alla NATO compresi. Un grande abbraccio, Sergio Senza alcuna pretesa di alcun genere, gli ho indirizzato a mia volta quanto segue: Caro Sergio, apprezzo molto la generosità del tuo tentativo di portare un po’ di raziocinio, attraverso il sincero racconto della tua vita, in questa orribile faccenda della guerra in Ucraina. Vorrei però aggiungere una considerazione: “a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età” diceva il fratellone Francesco. E aveva ragione. Il tempo non deve trascorrere invano: qualsiasi illusione, o mito, o sogno, si sia coltivato a vent’anni, esso non può non essere soggetto all’indispensabile vaglio del tempo che passa, per noi che invecchiamo, e per la società che si trasforma. Rimanere attaccati acriticamente a schemi di decenni fa non è segno di fedeltà all’ideale, non è segno di intelligenza; è solo infantile paura di riconoscere che tutto cambia e che compito di noi umani è vivere il tempo che ci è dato vivere con gli occhi aperti e la mente pronta a reagire (esercizio faticoso e spesso scomodo …). Chi si rifiuta è come se facesse un lifting artificiale al suo cervello, lo riempisse di botulino per illudersi di nascondere la naturale evoluzione del corpo che cambia, come il mondo che abbiamo intorno. Per questo non nutro alcuna comprensione per chi, anche in età molto avanzata, resta stolidamente attaccato a cliché del tutto inadeguati a interpretare la realtà che abbiamo davanti agli occhi. Massimo Recalcati su “La Stampa” (11 maggio) spiega molto bene il meccanismo di rimozione del reale in favore di un dubbio che serve solo a nascondere lo stato di fatto. Chi, soprattutto se in età avanzata e con significative esperienze alle spalle, ha creduto nelle panzane di Beppe Grillo, non è meno colpevole di lui dello sfacelo culturale e politico che ha provocato. Esattamente come chi pensò che Berlusconi fosse il nuovo che avanzava e non uno spregiudicato affarista che proteggeva i suoi averi. Non posso “comprendere”, devo solo constatare che la barricata si è spostata nel tempo e adesso quelli che forse una volta stavano di qua, ora sono definitivamente di là. E ci vogliono restare. Non do giudizi morali, non ne avrei alcun diritto, ma giudizi politici, un diritto che nessuno mi può togliere. I partecipanti al “Gran Ballo della Pace Proibita” sono rappresentanti di un altro mondo, lontano e irriconducibile al mio, come quelli che ballavano a palazzo nel Gattopardo. Forse loro avevano vinto. Questi, mi pare che siano stati irrimediabilmente sconfitti dalla Storia che, come si sa, “dà torto e dà ragione”. Un abbraccio.
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