Grande la confusione sotto il cielo di maggio …!Non bastava la guerra, il cambiamento climatico, la crisi energetica, la pandemia (e chissà che non arrivino anche le cavallette …), in questo turbolento frangente ci tocca pure occuparci e preoccuparci dell’Avvocato Giuseppe Conte e delle sue acrobatiche contorsioni dialettiche, un kamasutra politico volto a cercare una qualche posizione presentabile ad un’opinione pubblica sempre meno attratta dalla sua “pochette” e dal suo forbito eloquio da azzeccagarbugli di paese. Avendole provate tutte (Salvini, i sovranisti, gli immigrati coi decreti sicurezza, i dubbi sull’euro, i gilet gialli, e poi Zingaretti, Bettini, il “punto di riferimento fortissimo…”, i navigator, le lotterie, NO TAP e poi SI TAP, NO TAV e poi SI TAV, Macron o Le Pen chissà…, infine il “fenomeno” Orsini, nuovo vate dal pensiero laterale, …) adesso ci prova con il pacifismo da quattro soldi: armi difensive e non offensive (ma de che? che vor di’? dicono a Roma), Draghi chiamato a rapporto in Parlamento, e poi subito il negoziato, subito, anche da soli (vista l’evidente assenza della controparte russa): è il famoso esercizio di meditazione Zen sul rumore del battito di mani di una mano sola … C’è poco da scherzare, purtroppo, questa disgrazia nazionale, questa macchietta da avanspettacolo, si contorce, agonizza, sussulta, ma non accenna a farsi da parte malgrado la manifesta inadeguatezza a qualsiasi ruolo che richieda un minimo di competenza e sagacia. Il problema comunque è che Enrico Letta ed il PD, che non possono non aver capito (tutti, tranne alcuni irriducibili geni, famosi per non azzeccarne mai una) con che razza di nullità si trovano a dovere interloquire, non trovano prudente mandarlo platealmente a quel paese, visto che sperano (Letta ed il PD) di poter attingere all’elettorato incazzato e molto sempliciotto cui l’Avvocato pare ancora credibile (c’è chi si accontenta davvero di poco …!). Temono di lasciare sguarnita l’ala sinistra, visto che furbescamente l’Avvocato si è avvicinato a quegli altri strateghi di vaglia che rispondono ai nomi di Bersani, Speranza e D’Alema, ovvero un lugubre trio di sicuri, già sperimentati, perdenti, gente che non vincerebbe neppure un torneo condominiale di calcio balilla. Letta è evidentemente convinto di dover coprire quella che una volta era la sinistra, ma che oggi si fa fatica a distinguere dal populismo dei vecchi cinquestelle. E infatti si ritrovano in amorosi sensi. Ma il bello è che si ritrovano pure con l’altro populismo, quello salviniano, sempre alla ricerca, anche lui, di un ruolo da interpretare, avendo già sbagliato tutto lo sbagliabile ed avendo dilapidato (meno male!) una potenziale fortuna elettorale. Insomma, è sempre più difficile distinguere tra i populismi, che infatti prosperano proprio perché non hanno alcuna connotazione se non quella di essere confusamente legati agli umori delle masse più influenzabili, degli incazzati cronici, dei nostalgici di un antagonismo sociale che non ha più radici culturali ma solo rabbia e livore. Intendiamoci, sono tanti, e Macron ha giustamente ribadito che bisogna governare anche per loro, ma definirli di destra o di sinistra è davvero arduo, oltreché inutile. Sono protesta, antagonismo, ribellismo che non esprime alcun progetto politico compiuto. Sicuramente un potenziale pericolo per la democrazia. E qui veniamo al dunque: se il populismo è quella roba lì, rabbia e livore, una forza davvero riformista non può e non deve inseguirlo. Deve capirlo, deve cercare di controllarlo, deve disinnescarlo dando risposte concrete, ma non può inseguirlo, perché in quello viene facilmente battuta dai “professionisti del populismo” come Salvini, Conte, e pure quelli che credono di essere espressione della sinistra storica. A prendere in giro gli sprovveduti sono certamente più bravi: è il loro mestiere. La sinistra ha il compito di migliorare il mondo, per cui progetta, agisce e cambia; è riformista perché ha capacità di guida e di realizzazione, non persegue fantasie, ma programmi concreti. Il populismo, insomma diciamolo, è sempre di destra. E come ogni destra semplifica, si affida al demiurgo di turno, confida nella soluzione facile e d’effetto … Che senso ha allora cercare di farci insieme una coalizione, di coinvolgerlo in un’attività progettuale che è strutturalmente fuori dalle sue capacità? Che senso ha fare finta di poterci dialogare in modo costruttivo? Il rischio, anzi la certezza, è che la capacità riformista risulti fortemente pregiudicata con danno di tutti. L’annegato tira giù il soccorritore … Meglio allora cercare alleanze con altre forze autenticamente riformiste, con le quali sarà senz’altro più agevole trovare punti di contatto programmatici. Se quel populismo è destra, il suo avversario sarà naturalmente un centrosinistra di governo. Nei fatti, anche se non nelle dichiarazioni di principio. Dobbiamo prenderne atto in fretta; le elezioni si avvicinano e tirare per le lunghe questo chiarimento ci porta a sbattere contro una Meloni che prontamente sta cercando di dare una veste presentabile alla sua destra ancora piena di braccia tese e personale politico poco raccomandabile. Anche lei semplifica, però imbelletta, evoca, incuriosisce (soprattutto i media più spregiudicati), ma alla fine propone un conservatorismo vecchio ed ammuffito. Cari leader riformisti, ovunque voi siate, non perdete tempo con il populismo! Che vada dove vuole e dove può. Noi sappiamo che quanto più la nostra proposta sarà ragionevole, tanto più convincerà la parte più sana del Paese, quella che costruisce il futuro. Di pasticci ne abbiamo combinati anche troppi in questa legislatura e non sempre c’è un Mr. Wolf a tiracene fuori … |