La scoppiettante conferenza stampa di Luigi Di Maio ha ufficialmente dato il via ai Giochi Olimpici Elettorali del 2023 (che non è anno olimpico, ma ormai non è chiaro quali siano gli anni olimpici …).Come largamente previsto, annunciato e pure auspicato da moltissimi (quorum ego), il M5S è scoppiato. Troppo forti le tensioni, troppo diverse le aspettative, troppo inconsistente la prospettiva politica di uno pseudo partito che non si è mai posto il problema di organizzare un progetto politico ma solo quello di dare voce alle più indistinte proteste, ai più confusi dolori di pancia della “gente”, quella “gente” così idolatrata dai talk show (fa audience), ma a cui nessuno di loro si è preso la briga di proporre una concreta prospettiva politica di sviluppo. Chiacchiere. E assistenza, sussidi, ribellismo, pacifismo generico, verticismo esasperato malgrado la colossale balla originaria della “democrazia diretta digitale”. Una smaccata e pure vergognosa presa in giro che alla prova del Governo ha mostrato tutta la sua assoluta inconsistenza. E così è venuto giù tutto. Fran! Stavolta il quadro si è staccato proprio dal muro ed è caduto fragorosamente a terra. E non si vede chi e come possa rimetterlo a posto. Il personale politico coinvolto spicca per la sua inadeguatezza ed incompetenza, per cui il seguito sarà un susseguirsi di sussulti e di segnali contraddittori e confusi, che spazieranno in una vasta area che va da Mastella a Fratoianni. Auguri! La mossa di Di Maio però ha messo in moto un meccanismo che nessuno potrà fermare, anche se i frenatori non mancheranno. Sostiene il Ministro degli Esteri di non essere più populista, e nemmeno giustizialista, è diventato atlantista, draghiano, non vuole più odio e ha rinnegato il nefasto slogan ”uno vale uno”. È plausibile? Ne è davvero convinto? Quanto opportunismo c’è nelle sue parole? Chi lo sa? Lo scopriremo presto. Ma così facendo Di Maio ha oggettivamente scavato un solco profondo da Conte e da chi è rimasto nel Movimento: anche se Conte, nella sua bolsa retorica da azzeccagarbugli di provincia, cerca di fare finta di niente, ora più che mai lui e i suoi restano connotati come populisti, giustizialisti, poco europeisti, ipercritici del Governo, odiatori compulsivi, ancora attaccati al falso mito dell’”uno vale uno”. Roba ormai difficile da piazzare nell’offerta politica, roba vecchia da riproporre ancora, senza finire nelle grinfie dei populisti in servizio permanente effettivo della sinistra radicale oppure dei mai dimenticati compagni di merende della Lega (Meloni intanto si è furbescamente staccata e balla da sola …). Di Maio, volendolo o meno, ha segnato ed evidenziato la faglia della quale noi riformisti parliamo da mesi: di qua i riformisti, di là i populisti di ogni risma. Pressoché inconciliabili. Credibile o meno che sia, quello è il segno tracciato per terra. E adesso fare finta di nulla diventa sempre più difficile. La Lega sarà il prossimo partito a dover fare i conti con quella faglia: la coesistenza, per giunta bombardata continuamente dalla falsa amicizia di Meloni (che non ha problemi di scelta, essendo geneticamente “di là”), diventerà sempre più problematica e a giorni, settimane, potrebbe esplodere. Subito, oppure prima di Pontida? Comunque non molto più in là. È un’impresa complicata tenere insieme l’ala governista con quella populista di Salvini e di quelli con le corna in testa, che affollano il pratone. Faranno di tutto per non spaccarsi, ma restare insieme a forza mina la già traballante credibilità del Partito. Quanto resisteranno prima di una resa dei conti? E Forza Italia? Berlusconi si illude di poter contare ancora qualcosa, ma più che soldi e media non può mettere sul tavolo: idee … zero assoluto. Fa finta di non capire che il centrodestra che sogna lui non esiste più già dal tempo di Fini, che lo mollò senza ottenerne benefici ma facendogli molto male alle elezioni. Anche da quelle parti si distinguono nettamente quelli disposti a mettersi in gioco per un progetto riformista (Brunetta, Carfagna, Gelmini, …) e quelli indissolubilmente attaccati alla vestaglia del vecchio decaduto. Non molto diversa la situazione del PD, che anzi potrebbe essere il prossimo partito chiamato ad una resa dei conti. Quanto a lungo potranno convivere i riformisti veri con quelli della domenica come Boccia, Emiliano, Provenzano, Bettini, Zingaretti, oppure Orlando, Schlein, …? Populisti camuffati, massimalisti pronti a soccorrere il non dimenticato “punto di riferimento del progressismo”, ovvero Giuseppi Conte. Ormai le due anime del PD sono nettamente connotate: servirebbe un congresso, vero, chiaro, approfondito, come nei partiti ben radicati di una volta, dove si va fino in fondo, ci si conta e poi ognuno fa le sue scelte. O stare in minoranza, accettando di fare la minoranza (cosa mai vista nel PD …), oppure uscire e cercare altre strade. Non saprei dire quale potrebbe essere la maggioranza: vorrei sperare Letta e i riformisti, ma non si può mai dire. La base mi pare abbastanza sfiduciata, incerta, soprattutto stressata da anni di lotte interne, che hanno sì fatto emergere belle realtà (qui a Torino, ad esempio), ma hanno anche sollevato tanto fango che sarà lungo far depositare. Come si dice adesso, lo zoccolo del PD è “resiliente”, ma a tutto c’è un limite … Ed infine c’è una galassia frastagliata, variopinta, polverizzata, di realtà cosiddette “di centro”. Denominazione ambigua e fuorviante, in quanto espressione di una tradizione democristiana che fu di un altro mondo, di un altro secolo. Ho sempre sostenuto che esiste, eccome se esiste!, un “elettorato” di centro, milioni di persone poco connotate che giudicano e scelgono (o non scelgono) di volta in volta, che non si consegnano ad una parte politica definita. È un terreno sociale dove quasi sempre si vincono (o si perdono) le elezioni ma, se esiste l’elettorato di centro, non per questo devono esistere “partiti” di centro, ovvero realtà politiche che strutturalmente si collochino in una zona intermedia, centrale, posizione che può avere solo due sbocchi: o è autosufficiente, e quindi largamente maggioritaria (cosa del tutto improbabile), oppure è destinata a mercanteggiare con altri soggetti, di opposta tendenza (sennò non sarebbe centro) la sua azione politica. È garanzia di immobilismo, di consociativismo, di compromessi al ribasso, nulla di buono. È un’illusione quella di fare da ago della bilancia. Quell’area, che ai media piace tanto chiamare “centro” (per semplificare, anzi per banalizzare), deve essere capace di connotarsi autonomamente, se vuole imporsi e convincere gli elettori di “centro”. Deve dare progetti, motivazioni, programmi da realizzare … A parole tutti gli interessati concordano, ma non è vero. Non la contano giusta. Il riformismo, quello efficace di cui abbiamo bisogno come l’aria per uscire dalle crisi, è radicale, è impegnativo, non è affatto moderato, è carne o pesce, non è una via di mezzo, è riconoscibile perché incide, cambia, a volte stravolge, lascia il segno. Paura? Paura che i benpensanti si tirino indietro, che non si fidino, che preferiscano un innocuo tran tran? Può darsi, ma chiedetelo alle donne americane qual è l’alternativa. Oppure ai populisti disseminati ormai ovunque in Europa, a quelli che … prima la Francia, prima la Spagna, prima l’Italia, … A quelli che straparlano di pace ma che, se gli chiedi “con chi” e “a quali condizioni”, cambiano discorso e la buttano sui valori universali che, si sa, Putin apprezza tantissimo e soprattutto rispetta religiosamente… Comunque la faglia è segnata, è chiarissima per chi tiene gli occhi ben aperti, è quella e solo quella la distinzione che abbiamo davanti e che dobbiamo coltivare. Bisogna posizionarsi, di qua o di là. A cavallo non si può. La legge elettorale non è così determinante come può sembrare. I cittadini devono essere posti di fronte ad una scelta di campo e devono poter scegliere tra opzioni diverse, riconoscibili, e non ammassi indistinti di buone intenzioni generiche e confuse. La legge elettorale può facilitare la formazione di una maggioranza, ma senza forti idee guida, senza contenuti ed una leadership credibile, non c’è legge che tenga. A questo punto è inutile dire che il leader ce l’abbiamo, il tempo pure, e sono certo che la forza delle cose travolgerà i numerosi frenatori, conservatori dello status quo. Tanto vale correre, correre per vincere e non per pareggiare, o peggio per perdere. Alle Olimpiadi c’è sempre un podio: alla fine c’è chi riesce a starci sopra e chi ci resta sotto. E normalmente gli tocca spettare quattro anni …
|