Finalmente se ne parla …!Finalmente ciò che è ovvio, che è sotto gli occhi di tutti, che è inevitabile, diventa argomento di dibattito politico, alla luce del sole. E indietro non si potrà tornare. Non c’è bisogno di essere raffinati analisti per constatare che l’attuale maggioranza di governo, uscita dalle fallimentari, catastrofiche gestioni Conte 1 e Conte 2, è una soluzione politica di emergenza, che qualcuno subisce a denti stretti e controvoglia e qualcun altro invece cerca di cavalcare intravedendo possibili prospettive future di riformismo. Certamente l’ineffabile Giuseppe Conte, roso dal rancore per avere perso un posto di premier, posto al quale era arrivato per chissà quale congiunzione astrale o di sub-politica (temo che non lo sapremo mai …) ed al quale mai e poi mai avrebbe rinunciato (ed infatti è servito il duro intervento di Mr. Wolf, di concerto col Presidente, per scalzarlo da Palazzo Chigi e mandarlo al banchetto della frutta, allestito lì davanti dal suo socio Casalino), certamente Conte con i suoi sparuti seguaci vive l’esperienza Draghi come una purga. E ben gli sta, mi verrebbe da dire! Non parliamo di Salvini, che ha ancora la testa e le mutande al Papeete e sta nella maggioranza come un grizzly rabbioso dentro un collegio di educande svizzere. Si agita, smania, cerca visibilità, ma è goffo e sgraziato, e nulla può fare per nascondere la sua evidente natura selvaggia. Berlusconi, da par suo, vorrebbe fare il vecchio saggio ma non può perché non lo è e non lo è mai stato. il suo istinto lo porterebbe ad associarsi al grizzly, ma non ha più né l’età né le physique du rôle. Nel PD, tra le mille anime in perenne conflitto più o meno sotterraneo, coesistono malmostosi rancorosi per i quali Draghi è evidentemente un rompiscatole, un usurpatore, uno che impedisce il dispiegarsi delle vecchie abitudini trasversali, manovriere, consociative, con volenterosi che vedono in Draghi la sola speranza di un riformismo serio. La vecchi sinistra bersaniana è palesemente attratta dal populismo storico dei cinquestelle, con i quali non vede l’ora di associarsi. In questa situazione è sempre più chiaro che la spaccatura vera, reale del Paese è tra forme diverse, ma non tanto, di populismo assistenzialista, sovranista, antieuropeo, giustizialista ed il resto del mondo, costituito da riformisti di varia estrazione culturale, ma comunque convinti che questa stagione di riforme non vada soffocata sul nascere e sprecata. È la famosa “area Draghi”. Chiamiamola così perché è evidente che Draghi incarna quel modo di pensare, di affrontare i problemi, di porsi a livello internazionale, anche se è prematuro assegnare ruoli definitivi di leadership (oddio, è nell’ordine delle cose, ma bisogna fare un passo per volta). Quest’area esiste da che esiste questo Governo, è evidente ed è facilmente rintracciabile della compagine ministeriale. Ne costituisce l’ossatura, la parte operativa che sta occupandosi, mentre tutti intorno fanno rumore (cfr. Franco Battiato), di portare a casa il PNRR dal quale dipende il futuro di questo Paese. Ed esiste anche nel Paese, in tutta quell’area, magari silenziosa ma a mio avviso enorme, di persone che tirano la carretta e vorrebbero vivere in un posto all’onor del mondo. Ora finalmente quest’area viene nominata: l’ha fatto per primo il solito Mr. Wolf, seguito a ruota dal suo amico-nemico Calenda, seguito anche da Mara Carfagna, sempre più a disagio nelle fila berlusconiane e palesemente preoccupata di dare un seguito all’esperienza di questo Governo. Ne seguiranno altri: persino i media, che non amano i cambiamenti di schema nelle loro consolidate ed abitudinarie impostazioni, dovranno prenderne atto e, c’è da giurarlo, metteranno in atto contromisure adeguate a riportare tutto negli schemi usuali, senza i quali non capiscono un tubo del mondo reale. La prima risposta è: “si ricostituisce l’area di Centro”, col che ammantando di democristianità un’operazione che non potrebbe essere più lontana da quell’esperienza. E già, perché da una parte l’idea di Centro rassicura, dall’altra ammanta di vecchio un’operazione invece modernissima di riformismo a lunga gittata. Sminuire, troncare, sopire, per non dover dire che oggi lo scontro è (e domani lo sarà ancora di più) tra quest’area, che si prefigge di far fare al Paese un salto verso il futuro, e un’altra area, indistinta, magmatica ed eterogenea, di “resistenti al cambiamento”, di nostalgici del passato assistenzialista, giustizialista, statalista, insomma populismo puro. Altro che Centro! Lo scontro sarà tra queste evidenti, opposte ed inconciliabili concezioni della gestione della cosa pubblica. Chi non vuole capirlo, chi si illude di tenere i piedi in tutte le scarpe, chi non vuole (o non può) scegliere, è destinato a fare del male a se stesso (e uno potrebbe dire: chissenefrega …) ma soprattutto al Paese, confondendo le carte e ritardando, o peggio boicottando, le necessarie riforme che il PNRR, primo tra tutti gli strumenti, ci da l’opportunità di portare a compimento. Frenatori contro progressisti, ma progressisti veri, non da operetta come il “punto di riferimento fortissimo” affibbiato all’avvocato del popolo da qualche dirigente del PD non troppo lucido, diciamo … Se le prossime elezioni saranno giocate su questo discrimine, e non su vetuste distinzioni ideologiche ormai del tutto artificiali, i cittadini potranno scegliere tra il passato ed il futuro, tra chi ha paura di staccarsi dagli schemi decrepiti del consociativismo e chi vuole giocarsi una partita tutta europea di trasformazione del Paese. Vincerà chi ha più filo da tessere, è evidente, ma messa così la questione è molto più chiara di qualsiasi fumisteria di “campo largo” a sinistra, di “nuova destra” dall’altra parte. Il nemico del riformismo è il populismo, comunque si voglia connotare. Punto. Le sue tossine hanno avvelenato questo paese per decenni e continuano ad avvelenarne il clima: è ora di espellerle definitivamente e riprendere un cammino riformista interrotto il 4 dicembre 2016 (chi non si ricorda la data corra a ripassare la Storia recente). C’è lo spazio politico per farlo, ci sono gli elettori, c’è la classe dirigente, c’è persino il programma. Ed infine ci sarebbe anche il leader che, di fronte ad una proposta seria e ben costruita, certamente non si tirerebbe indietro, esattamente come Mattarella ha accettato di disfare gli scatoloni e tornare al Quirinale, quando ha constatato che quella era l’unica logica soluzione per il bene del Paese. Ho detto “seria e ben costruita”: non è facile, servono persone credibili e generose, idee realistiche ed innovative, serve guardare all’interesse del Pease e non (solo) a quello del proprio convento. La strada c’è, è chiara, sale ripida, è piena di buche e disseminata di trappole, ma nessuno persi che il riformismo possa essere un pranzo di gala (cfr. Mao Zedong). Per chi non ama il Grande Timoniere (io, per esempio), ripropongo Ernest Shackleton, l’esploratore che organizzò nel 1914, alla vigilia della Grande Guerra, una spedizione in Antartide. Pubblicò un annuncio: "Si cercano uomini per una spedizione pericolosa: bassi salari per lunghe ore di arduo lavoro in condizioni brutali; mesi di buio continuo e freddo estremo; grande rischio per la vita e per gli arti da malattie, incidenti e altri pericoli; piccole possibilità di fama in caso di successo." Shackleton quegli uomini li trovò. Partirono in 28, fu un’impresa costellata di difficoltà ai limiti dell’umano, compresa la navigazione in mari infernali su scialuppe di pochi metri e l’attraversamento a piedi di catene montuose. Dopo due anni di traversie, tornarono tutti e 28, sani, salvi e giustamente orgogliosi. Come previsto, non ebbero la fama che meritavano: nel 1916 l’Europa era impegnata in ben altre imprese. E il secolo si annunciava molto duro. Lascio a voi ogni possibile parallelo …
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