Vladimir Putin, Presidente di (quasi) tutte le Russie, sollevò lo sguardo dalla cartina dell’Ucraina (no, l’Ucraina non esiste…!) del Donbass orientale, sulla quale stava spostando alcuni modellini di carri armati, diversi soldatini di piombo e pure una pregevole riproduzione in scala di una Lamborghini Huracàn rosso fuoco. Al suo fianco il manettino del gas, dal quale non si separava mai: forte era la sensazione di potenza che gli conferiva …Il Presidente simulava grandi manovre avvolgenti e penetranti nelle difese dell’odiato Zelensky, ma soprattutto l’effetto provocato dall’avanzata della Lamborghini tra le macerie che, opportunamente ripresa dal telegiornale Vremja, avrebbe spacciato come prova della ormai certa e schiacciante vittoria sugli straccioni sedicenti ucraini (l’Ucraina non esiste, l’ho già detto…). Rimaneva il problema di quale oligarca scomodare per mandarlo in Donbass con la (sua) Lamborghini, ma l’avrebbe risolto con un paio di telefonate ai più fidati superstiti. Nella penombra del suo bunker, nei sotterranei del Cremlino, nel silenzio del primo pomeriggio, vide avvicinarsi l’aiutante di campo, opportunamente abbigliato con il colbacco di ordinanza, malgrado la stagione estiva e l’opprimente afa di Mosca di metà luglio. In effetti il fido colonnello Stroganoff (inventore del famoso filetto, tra i piatti preferiti del capo) fu presto da lui per avvertirlo di una imminente telefonata da Roma. Roma, Roma? – pensò Putin – che sia quel rompiscatole di Mario Draghi con le sue noiose richieste di pace e negoziati? Gli ho già detto, come pure a quell’altro tarlo francese di Macron, che non voglio essere disturbato quando gioco. Stava per rispondere male al colonnello (comunque abituato ad una certa rozzezza di modi …) quando questo lo prevenne dicendo che in linea c’era un tal Giuseppi, o Giuseppe, non aveva capito bene, Conte, presentatosi come leader politico del Movimento. Putin sobbalzò sul seggiolone dal quale manovrava modellini e manettini, aiutandosi con una lunga e pesante alabarda appartenuta allo zar Nicola II Romanov. Il “leader politico del Movimento” gli riportò alla mente certe immagini sfocate di Vladimir Il’ic Lenin su un palco, mentre col pugno chiuso arringa la folla in una fredda serata di ottobre. Il Movimento era una gran bella trovata, grandi masse in tumulto, un capo che le guida, la storia che si snocciola ai suoi piedi, oppure la piazza Rossa coi missili ed i carri, i reggimenti inquadrati che marciano in perfetta sincronia, gli inni e le danze popolari, il palco davanti alle mura con la nomenklatura schierata … oppure un drappello di variopinte Lamborghini, Ferrari ed Aston Martin, guidate dai maggiorenti del regime con al fianco le più pure rappresentanti della sfolgorante bellezza slava, tutti pronti a marciare su Kijev. Il Movimento di questo Giuseppi non era proprio una cosa così, però l’idea di un Movimento in Italia lo incuriosiva e insieme lo eccitava. Decise di farsi passare la telefonata. Venne subito investito da un profluvio di paroloni in italiano che l’interprete faceva molta fatica a tradurre. Capì vagamente che Giuseppi parlava di un possibile abbandono del Parlamento, di un gesto politico forte che avrebbe destabilizzato la Repubblica Italiana e che (immaginò lui ingolosendosi …) forse l’avrebbe portata con facilità sotto la sfera di influenza della Grande Russia. Putin drizzò le orecchie, chiese di ripetere e Giuseppi ripeté, ma il fiume di parole era sempre più tumultuoso. Capì qualcosa come “bloccare il termovalorizzatore” e subito pensò alla nuova arma laser della NATO di cui gli avevano parlato i vecchi colleghi del KGB, ora FSB, una minaccia seria per l’egemonia russa nel campo degli ordigni offensivi di nuova generazione. Tese sempre di più le orecchie. Capì vagamente che il Movimento si apprestava ad azioni eclatanti, come restare nella sede del Governo per minarlo dall’interno, mentre dall’esterno del Parlamento enormi masse popolari avrebbero sfidato il regime dispotico dell’ex-banchiere. Tutto sembrava convergere verso l’obbiettivo che Putin aveva concepito fin dall’inizio del Movimento: ora che la scatoletta di tonno era finalmente aperta, si poteva procedere a preparare una succulenta insalatona con quel che rimaneva della spocchia di certi politici italiani … avrebbe aggiunto anche caviale beluga nostrano, ovviamente, caviale che ormai mangiava anche a colazione, visto che nessuno lo comprava più. Non aveva mai fatto mancare il suo sostegno morale, e non solo, a tutti i movimenti locali, compreso quell’altro del Capitano, come lo chiamavano certi suoi adepti, che però adesso pareva in disarmo. Ora vedeva finalmente la possibilità di coronare i suoi sforzi: questo Giuseppi faceva sul serio. Chiese all’interprete di approfondire i dettagli organizzativi della manovra rivoluzionaria, ma l’avvocato del popolo (così si faceva chiamare questo formidabile Giuseppi) lo seppellì con un turbine di chiacchiere, culminate con la richiesta di indicazione se fosse meglio astenersi sulla fiducia al Governo o uscire ordinatamente dall’aula al momento del voto. Putin, incredulo, si fece ripetere la domanda e l’avvocato confermò che era indeciso sul da farsi e allora aveva pensato di interpellarlo, lui sempre così prodigo di consigli (e non solo) per i rivoluzionari occidentali. L’avvocato gli disse anche che aveva convocato il soviet (pardon, il Consiglio), dove le erinni Taverna e Raggi (chi sono costoro? si chiese) avevano proposto di uscire dall’aula cantando giambi ed epinici. Suslov-Travaglio, ancora più duro, aveva invece consigliato di lanciare anche qualche bombetta puzzolente (ma non velenosa, per carità …) nell’aula in segno di disprezzo per la maggioranza che si piegava ai diktat dell’odiato banchiere. Vlad si insospettì vieppiù quando Giuseppi, a precisa domanda, rispose che l’Elevato Beppe Grillo era partito per le vacanze in Africa (ne approfittava per organizzare certi movimenti rivoluzionari locali che avrebbe lanciato al più presto sul panorama mondiale) e non aveva neanche lasciato il numero di telefono. Vlad si fidava della profonda visione politica del suo amico Beppe e questa vacanza non gli suonava per niente bene … che si fosse defilato? Cominciò a sospettare che Giuseppi fosse un mitomane, ma su quel terreno lui non voleva concorrenti. Chiese per l’ultima volta con quali mezzi il Movimento avrebbe preso il potere in Italia, ma Giuseppi fece finta di non capire, continuando a strologare sulla differenza tra non votare la fiducia uscendo dall’aula e provocare una crisi uscendo dal Governo, cosa che escludeva tassativamente perché i ministri, e forse pure i deputati, avrebbero in questo caso perso lo stipendio o il diritto alla pensione, non si capì bene il senso del confuso discorso previdenziale dell’avvocato. Putin brandì con vigore l’alabarda dei Romanov che si abbatté sui modellini dislocati sulla cartina facendoli schizzare tutt’intorno e proruppe in un sonoro “отвали” (otvali), che l’interprete, anch’egli spazientito, non esitò a tradurre in un sonoro “vaffanculo”. Finalmente fu silenzio dall’altra parte della linea.
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