L’invereconda (e ormai anche tragicamente buffa) gazzarra che si sta svolgendo in questi giorni intorno al PD ed alle sue avventurose alleanze strategiche o elettorali (ma qual è la differenza …?) ha origini molto, ma molto, lontane.Non è, come potrebbe sembrare, frutto della confusione creata dalla inopinata caduta del governo guidato dall’italiano più eccellente, dall’eccezionale stato di crisi internazionale né dalle opprimenti condizioni metereologiche. No, è ben di più, è una specie di saga alla maniera di Highlander, che si protrae da oltre un secolo. E come ogni saga che si rispetti, non finisce mai. Vi risparmio un compendio storico sulla sinistra dall’inizio del Novecento a oggi, ma lo scontro titanico tra massimalisti e riformisti ha davvero più di cent’anni. Massimalisti, sognatori rivoluzionari, populisti, contro riformisti, miglioristi, progressisti, liberalsocialisti (i soliti RDLSEPLG+ …), l’un contro l’altro armati e purtroppo sempre pronti a disputarsi all’ultimo sangue il primato nella lotta politica, soccombendo così, spesso e volentieri, alle ciniche, spietate, anche se inadeguate, destre di turno, dal fascismo in avanti. In verità, i primi sono sempre stati una sparuta minoranza, quattro gatti (va be’, anche otto o sedici, comunque mai moltitudini …) ma molto rumorosi, molto spocchiosi, saccenti, con tendenza all’egemonia, convinti di essere illuminati ed alimentati dal sacro fuoco della Verità rivoluzionaria (a loro piaceva essere chiamati “avanguardie”). Hanno fatto solo danni: non si ricorda una, che sia una, realizzazione, o conquista, che abbia davvero cambiato in meglio il corso della storia dei lavoratori, di tutti i lavoratori. Spesso hanno anzi ostacolato, a volte addirittura sabotato, i volenterosi tentativi dei riformisti di migliorare il mondo. Il progresso e lo sviluppo infatti sono sempre stati figli delle riforme, dei compromessi, dei piccoli ma continui passi avanti fatti da chi si applicava all’arte del governo con pazienza e competenza. Siamo ancora lì. È del tutto evidente che il discrimine delle prossime elezioni passa attraverso la distinzione tra riformisti e populisti, siano essi di destra, di sinistra o non collocati. È vero, sarebbe una sciagura la vittoria delle destre, ma la sinistra radicale o massimalista sarebbe tanto meno pericolosa? Non ci sono bastate le gesta dei formidabili cinquestelle con il loro capocomico? (Sto semplificando brutalmente, lo so, ma tutti quelli che seguono la politica sanno bene cosa sto dicendo). La logica più elementare vorrebbe che tutti i riformisti facessero ogni sforzo per raggrupparsi e presentare all’elettorato una proposta congruente, sfruttando l’eccezionale lascito di credibilità che stiamo ereditando da Mario Draghi. Anzi, dovrebbero in ogni modo cercare di fargli continuare l’esperienza di governo. Tutti i riformisti dovrebbero farlo, tutti quelli che davvero credono alle cose possibili e non alle fole ideologiche. Macché. La sinistra radicale, o massimalista, o conservatrice, bigotta e reazionaria, non può permetterlo. Ne risulterebbe tragicamente emarginata. E così, poiché non può rinunciare al sacro fuoco divino della Verità rivoluzionaria, insiste per l’ammucchiata indistinta, dove più facilmente può esercitare la sua rumorosa egemonia. Scusate, mi rendo conto di essere molto tranchant, ma come faccio a dire che ne ho le palle piene di questa interminabile manfrina? Non ne posso più. In oltre cinquant’anni che mastico politica, è sempre la stessa solfa. E ancora una volta ci apprestiamo a regalare la vittoria alle peggiori destre degli ultimi decenni. Il PD è purtroppo al centro di questa contraddizione perché non ha mai voluto dirimere la questione, fin dalla sua fondazione. L’idea di tenere tutti dentro sarebbe stata pure accettabile, ma solo se la minoranza (perché tale è ed è sempre stata) accettasse di esserlo e non pretendesse di dettare sempre e comunque la linea anche ai più timidi riformisti. Come ora, quando la sinistra interna impone ad un accomodante Letta ed a tutto il partito un accordo innaturale con massimalisti ancora più massimalisti, impedendo la vera unità tra tutte, dico tutte, le forze riformiste. Hanno tollerato Calenda perché lo ritengono gestibile, ma forse hanno sbagliato ancora una volta i loro conti, come spesso succede. ULTIM’ORA: hanno di nuovo sbagliato i conti, tant’è che Calenda se n’è appena andato, sbattendo la porta… Ovviamente Renzi non è compreso nel discorso. E qui il tasto è dolente. Renzi è l’orco per i massimalisti, che hanno giurato di distruggerlo e, come Willy Coyote con Beep Beep, non desistono mai, malgrado la pervicacia spesso goffa dei loro tentativi. Tocca allora adattarsi ancora una volta a questo gioco al massacro senza senso, cercando di trarne un possibile beneficio comune. Non è facile, come si può facilmente intuire. L’alleanza composita e disomogenea costruita attorno al PD farà campagna elettorale dicendo tutto e il contrario di tutto, cercando di ramazzare voti nei più remoti anfratti della sinistra ma anche in ambienti più liberal, agitando lo spauracchio di Meloni premier come unico collante. Auguri. A me pare un po’ pochino … Renzi ed i suoi sodali (ora ci sarà anche Calenda?) dovranno invece impegnarsi allo spasimo per rubare voti a destra, per convincere gli elettori (o ex-elettori, astensionisti, …) di centrodestra, che sono arcistufi delle pagliacciate di Silvio Berlusconi e di Matteo Salvini (ripetitivi fino alla noia, come la sei millesima puntata di Un posto al sole) e ritengono Meloni inadatta a qualsiasi ruolo pubblico internazionale, a fidarsi di rafforzare un raggruppamento che non ha mai fatto sconti a nessuno, dando sempre prova di logica linearità nelle sue scelte politiche. Può funzionare, perché lasci i duri e puri a seguire i tre capi della destra, attraendo moderati e liberali che si asterrebbero o sarebbero comunque a disagio votando i tre ammaccati ma tronfi campioni del populismo. Se questa forza riformista raggranella qualche milione di voti (due, tre, mica tantissimi …) sarà facilmente decisiva nella formazione di un qualsiasi Governo dopo le elezioni. Insomma, bisogna a tutti i costi palesare che: - un’alternativa riformista c’è, esiste e lotta insieme a noi
- i massimalisti possono essere emarginati e lasciati alle loro fole ideologiche
- il governo Draghi non è stato solo una parentesi, ma l’alba di una rinascita della politica in Italia che deve arrivare al 2026 e possibilmente oltre.
Sono stufo di ripetere che abbiamo ancora a portata di mano un’occasione magnifica e buttarla via per l’ennesima volta sarebbe da pazzi sciagurati. Ma abbiamo già dato un’infinità di dimostrazioni di questa poco lucida follia…
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