A dire il vero, non avrei alcun titolo per occuparmi del titanico sforzo di autocoscienza promosso dalla Direzione del PD qualche giorno fa, se non che, da quello che ho seppur sommariamente percepito dagli ottanta interventi nelle oltre dieci ore di dibattito (più gli interventi preliminari comparsi sui giornali), tutto si è svolto sotto la cappa aleggiante di un convitato di pietra, poco nominato ma comunque continuamente evocato (e maledetto) come causa prima di tutti i problemi che affliggono il Partito da una decina d’anni almeno. Manco a dirlo, il convitato sarebbe l’innominabile, il mai sufficientemente ripudiato, ex-Segretario Matteo Renzi. Sembra proprio un’ossessione ai limiti del patologico quella che ha pervaso la classe dirigente del PD, che per un giorno intero si è cosparsa il capo, e non solo, di cenere per avere permesso la degenerazione del giocattolo originario (già tempestivamente strappato alle non terribili grinfie del Fondatore Walter Veltroni) in sentina di tutti i problemi della sinistra italiana. Accenti di autocritica drammatica, di spietata autodafé, di rammarico genuino per la terribile devianza che ha condotto un Partito, una volta saldamente ancorato a valori e principi ben collaudati (dalla rinomata “Ditta”), a deragliare verso il peggio del revisionismo politico. Con ogni evidenza risulta ai dirigenti che il Partito sia caduto in un perfido maleficio, ipnotizzato da un diabolico Mefisto (i lettori di Tex capiranno, gli altri immaginino …), che ha infuso i suoi infernali poteri nelle menti pure e forse un poco naif di una intera classe dirigente, oltre che di qualche milione di iscritti e militanti che hanno partecipato ammaliati, colpevoli tutti senza distinzione alcuna di avere permesso un simile scempio dei valori originari della sinistra storica. Un autentico disastro, del quale il povero PD sta ancora pagando care le conseguenze, mentre il feroce aguzzino, ormai migrato verso altri lidi, si trastulla con la fondazione e lo sviluppo di nuovi soggetti politici di incerta prospettiva europea, circondato da un’accolita di traditori venduti al demonio. È tutto un “mai più!”, una struggente nostalgia dei tempi andati, prima dell’aggressione renziana, quando ci si poteva dedicare senza stress alla costruzione di immaginifici scenari, anche se poi si infrangevano regolarmente contro l’imbattibile corazzata del centrodestra berlusconiano: ma vuoi mettere la profittevole dialettica con Diliberto, Bertinotti, Turigliatto, Mastella e Tabacci, …, prima dell’avvento dell’Unno fiorentino? Inutile sperare che si faccia strada l’ipotesi, il sospetto, che forse quella stagione ora maledetta ha dimostrato “nei fatti” la sua efficacia, con voti conquistati e riforme fatte, e che averla contraddetta e rinnegata ha portato oggi il Partito alla vaghezza dei temi e degli obbiettivi con i quali stenta a convincere gli elettori sempre più disorientati ed incerti. Da una parte la folle illusione di riuscire a rimettere in qualche modo insieme, con uno sforzo collegiale, i cocci, che ancora ingombrano la scena del Partito, dall’altra la pretesa di rifondare un movimento che ha già lasciato per strada milioni (tanti milioni!) di voti, coinvolgendo l’anima populista, velenosa come un aspide, che ha trovato calda accoglienza sotto la pochette dell’”avvocato del popolo”. Quest’ultimo ha capito i termini del problema e non si fa scrupolo di lanciare un’OPA ostile verso il povero PD, che nessuno, a quanto pare, ha la forza di difendere efficacemente. I possibili contendenti alla leadership si studiano a vicenda, non si scoprono, dissimulano, cercano appoggi preventivi, quando invece dovrebbero balzare fuori con coraggio e indicare una strada, apertamente, con chiarezza, e su quella chiedere il consenso. Dov’è finito l’entusiasmo del 2007, o del 2014? Dov’è finita la speranza di fare qualcosa di grande? Dov’è finita la coscienza di avere un progetto forte da realizzare? A me questa mestizia, questo “de profundis” pare largamente esagerato e la tendenza a rifugiarsi in una comoda opposizione pare una fuga dalla responsabilità di mettere in campo una proposta vincente, e non solo appagante. Fossi in loro, ma non lo sono, cercherei di parlare a quella parte di Paese che vuole crescere senza assistenzialismo, senza agitare il tesserino giallo del RdC. Quelli sono gli ultimi che voteranno una forza politica che promuova lo sviluppo, l’istruzione, la formazione, l’emancipazione, … sono appagati da Giuseppe Conte. È chi produce, chi lavora, chi si mette in gioco che bisogna coinvolgere. Gli altri seguiranno, se mai. Tanto più in un momento in cui una destra dura e vincente si prepara a mettersi e metterci alla prova. I prossimi mesi saranno determinati. Facciamo bene a ricordare ai francesi (e a chiunque altro …) che “sappiamo badare a noi stessi …” e che non abbiamo bisogno di guardiani, ma prendiamo atto che comunque quello è ciò che si pensa nelle cancellerie europee, ci piaccia o meno, ce lo dicano apertamente o meno. Per badare a noi stessi dobbiamo essere pronti a costruire una piattaforma interclassista, aperta, laica, di persone attive e disponibili al confronto. Altro che rintanarsi in ridotte populiste. Bisogna fare proposte concrete, tangibili, come quelle sul MES sanitario o sul caro bollette (anche se qualcuno cerca di darti del collaborazionista …), non vagheggiare l’unità inesistente del popolo oppresso, mito novecentesco che ha fatto il suo tempo. Costruire una società più giusta, più equa, più ricca, richiede la forza di scegliere, di progettare e costruire. Quella è la scommessa, anche per il PD. Spero che tutti se ne rendano conto presto, molto presto, e la smettano di flagellarsi per un periodo che è stato vincente e foriero di riforme, che solo la meschineria di una classe dirigente invidiosa e poco lungimirante è riuscito a trasformare in un incubo. Incubo dal quale fa ancora fatica a liberarsi. Il nuovo Segretario, si spera con una nuova classe dirigente, guardi avanti e non indietro, ritrovi l’entusiasmo e la voglia di cambiare. L’abbiamo già fatto. Lo possiamo fare ancora. PS: rubo ancora una splendida vignetta del 2018 a Staino (e Zacchi). Non saremo davvero perduti fin quando saremo capaci di ridere di noi stessi …
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