Oggi in Italia ci sono due istituzioni molto popolari in grandissima crisi: la Juventus ed il Partito Democratico. Non sembri irrispettoso l’accostamento (d’altronde non saprei per quale delle due lo sarebbe …), ma si tratta di crisi profonde, che coinvolgono importanti pezzi di popolo, crisi entrambe seguite a periodi di gloria molto lunghi, anche se non sempre trionfali. Negli ultimi 11 anni la Juventus ha vinto 9 scudetti di seguito, ha disputato due finali di Champions League, perdendole entrambe, ma in più da tra anni non va oltre gli ottavi di finali; quest’anno s’è addirittura fermata prima. In campionato ha 10 punti di distacco dalla testa e ben poche possibilità di recuperarli. Se va bene, lotterà per il quarto posto. Negli ultimi anni ha cambiato allenatori, dirigenti, talora vorticosamente, ovviamente tanti giocatori, ma al momento è evidente che la squadra non riesce a trovare un equilibrio, non ha motivazioni, ha giocatori palesemente logori, forse appagati, che commettono errori marchiani, mentre ai giovani vengono lesinate le presenze, forse per sfiducia o per un malinteso rispetto dell’anzianità di tanti campioni. Si aggiungano infine le note traversie giudiziarie legate ad ipotetiche irregolarità di bilancio e nelle comunicazioni sociali. Ce ne sarebbe a sufficienza per procedere speditamente ad un radicale cambio di pagina, del quale però al momento non si vede accenno. Nel frattempo il mito si appanna … la tifoseria sbanda, la fede (calcistica) vacilla. Anche il Partito Democratico viene da 11 anni di governo quasi ininterrotto, per quattro anni ha governato con ottimi risultati (tre con Renzi e uno con Gentiloni), anche se sono stati segnati dall’infausta sconfitta nel referendum nel 2016, inopinatamente osteggiato da una parte consistente del Partito stesso, che pure aveva votato quelle riforme per sei volte alla Camera ed al Senato. Ha governato con tutte le forze politiche presenti in Parlamento, con l’eccezione di Fratelli d’Italia che, manco a dirlo, ora è passata all’incasso … Ha cambiato 6 Segretari e sta per scegliere il settimo. Ha subito scissioni sia sul lato massimalista che su quello riformista, è passato da un effimero ma reale 40% al 18%, perdendo 7 milioni di voti. L’ultimo campionato (pardon, turno elettorale) è stato forse il più fallimentare, con un posizionamento incerto tra il populismo massimalista del cinquestelle ed il riformismo dichiarato del Terzo Polo. Il PD è rimasto in mezzo al guado, che sta per tramutarsi in guano. I dirigenti, a parte il Segretario di turno, sono sempre gli stessi, al netto delle scissioni, e paiono confusi e demotivati, combattuti su opzioni strategiche di fondo che non riescono a dirimere. Sta per partire un Congresso “ricostituente”, ma i tempi sono ancora incerti e le proposte pure. Mancano persino i candidati. Anche qui ce ne sarebbe a sufficienza per invocare un radicale cambio di pagina, del quale però al momento non si intravede alcun segno. Il mito del Partito veltroniano del Lingotto (2007) si è già appannato un bel po’, la tifoseria (pardon, l’elettorato), non sa che pensare: è storicamente disciplinato, ma adesso si chiede qual è la prospettiva, dove si va, mentre la destra è andata al governo e servirebbe subito un’alternativa forte e credibile. Una nuova classe dirigente, si spera giovane, stenta a farsi vedere, i possibili protagonisti sembrano timidi, non emergono, forse sono annichiliti dai “senatori” che non mollano il potere e mantengono il diritto di cooptazione. L’opposizione al Governo di destra dovrebbe essere lucida e focalizzata, ma pare invece concentrata su argomenti secondari, forse identitari, ma certamente non prioritari nelle esigenze dei cittadini. Ci si perde in discussioni lessicali (il/la Presidente, il “merito”, la “sovranità” alimentare), si cade in trappole di distrazione di massa come il tetto al contante, si mantengono risentimenti personali assolutamente fuori luogo, si fa gioco di pura interdizione, non essendo definita una linea strategica chiara e soprattutto condivisa. Il campionato di calcio, di fronte alla crisi della squadra più blasonata, ha subito prodotto alternative valide che stanno dimostrando freschezza e dinamismo. Se manca la Vecchia Signora, le altre suppliscono, sicure che tanto prima o poi la Signora tornerà. Ciò non esime i responsabili (la proprietà, evidentemente) dal dovere di prendere decisioni anche drastiche e porre in atto provvedimenti radicali. È certo che lo faranno. Pure la politica va avanti lo stesso, anche con il più grosso Partito del centrosinistra ferito e boccheggiante: vanno avanti quelli dell’altra parte, felici di trovare poca o nessuna resistenza alla loro azione di Governo, vanno avanti anche i possibili competitor nell’area dell’opposizione, che ovviamente occupano gli spazi che la crisi del PD lascia scoperti. Il tutto però pare piuttosto caotico, non coordinato e pure molto dispersivo. Io sono juventino dagli anni Cinquanta del secolo scorso (i tempi di Omar Sivori e John Charles), ne ho viste di ogni e so che devo aspettare con pazienza tempi migliori. Arriveranno. Ho anche lungamente auspicato ed atteso la nascita del Partito Democratico, salutando con gioia la sua nascita nel 2007. Ho partecipato con sentimenti alterni ma con fiducia a tutte le sue traversie degli ultimi anni, fino a quando mi è parso chiaro che il progetto si era arenato e dalle secche non sarebbe più uscito. Non posso che constatare che le operazioni di disincaglio sono molto più complesse di quelle della portacontainer intraversata nel Canale di Suez. Cionondimeno, non posso che augurarmi che presto si arrivi a capire come e dove possa essere speso il capitale di fiducia e di storia di cui il PD è comunque detentore. Al più presto bisogna rendere visibile ed efficace un’alternativa politica alla destra ora imperante, per evitare che essa si radichi ancora di più nell’abitudine degli italiani, stanchi di un quadro politico sempre così turbolento. Il Terzo polo (o come decideremo, spero presto, di chiamarlo) sta predisponendo un’opposizione di contenuti, di sostanza, e non di facciata identitaria. Troverà spazi tanto più incerta e tentennante sarà l’azione del PD, o di quel che resterà. Può darsi che la traversata sia lunga, ma può anche darsi che la destra si schianti sulle sue evidenti contraddizioni e gelosie intestine. In ogni caso bisogna essere pronti, tra sei mesi o tra cinque anni. Siamo tutti arcistufi di dire che l’Italia ha bisogno di stabilità, di continuità, e anche di riforme. Bisogna trovare il modo di farle. O vogliamo lasciarle tutte alla destra? Nel frattempo sia il popolo juventino che quello riformista soffrono … e sono stufi di soffrire.
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