Ovvero, di Cavalli e di Matti. La nostra politica come una scacchiera, un tavolo da gioco, sul quale si puntano le fiches dello sviluppo (o del tracollo) del Paese. Abbiamo appena vissuto un’altra “mossa del cavallo”, questa volta eseguita con rara maestria dallo spregiudicato e cinico “avvocato del popolo”, detto anche “punto di riferimento fortissimo del progressismo europeo”. Ha meditato a lungo la vendetta, ha maturato il giusto rancore e quindi, in un caldo giorno d’estate, ha sferrato il colpo: durissimo, premeditato, definitivo. E alla fine ha ottenuto l’effetto desiderato: la sua sopravvivenza politica. Cosa farà adesso, lo vedrà in seguito: intanto ha portato a casa più di quattro milioni di voti, qualche decina di parlamentari (64), ma soprattutto la sopravvivenza e la possibilità di dire la sua nel complicato processo di organizzazione dell’opposizione. E tutti dicono che ha vinto lui, malgrado abbia perso sette milioni di voti, ben più della metà di quando aveva riempito il Parlamento con oltre 330 improbabili esponenti dai più svariati e avventurosi curricula, allagando la politica italiana come un torrente ingrossato da un temporale estivo di quelli moderni. Come un temporale, è passato in fretta, ma non del tutto: la sua “mossa del cavallo”, ovvero sfiduciare il più prestigioso Presidente del Consiglio del dopoguerra, senza un serio motivo che non l’inceneritore di Roma (!!), ha funzionato. Come funzionarono altre mosse del cavallo precedenti, condotte con altrettanta maestria, ma (un “ma” grande come una casa) finalizzate a migliorare la situazione generale del Paese (mi dispiace per chi non è d’accordo, ma gli elementi a conferma sono millanta: fermare il Salvini del Papeete prima, e portare al Governo Mario Draghi poi, erano oggettivamente un gigantesco salto in avanti). Qui no, qui si trattava di salvare la pellaccia e mantenere qualche seggio in Parlamento. Missione compiuta. Chapeau. Mossa del cavallo o Matto dei tarocchi? Ma qui di Matti ce n’è in abbondanza … Tralasciamo per un attimo chi, come il truce Padano, ha dilapidato milioni e milioni di voti e ancora fa la voce grossa, pretendendo Ministeri di peso, e non si sa cos’altro, oppure il Vecchio Immortale, che vuole il centro della scena per lui e le sue badanti, convinto di essere ancora il perno del sistema, … come Gloria Swanson sul Viale del Tramonto. Ma dall’altra parte mica scherzano ... Dopo che i buoi sono largamente scappati, si arrovellano giustamente su come rifondare e rilanciare il Partito Democratico, si chiedono se viene prima il leader o prima la linea politica, l’uovo o la gallina? Come se potesse esistere l’uno senza l’altra, e viceversa. Si lanciano in un labirinto congressuale che prevede una chiamata, un dibattito, un confronto sui candidati, infine le primarie aperte. Potrebbero volerci mesi e mesi, mentre intanto Meloni e i suoi boys dispiegheranno le loro strategie …, e che Dio ce la mandi buona! Tutti mostrano ritrosia, fanno finta di non volersi candidare, ma tutti sappiamo che i pretendenti stanno già affilando le armi. Sarebbe quindi un bene per tutti se questi cominciassero a farsi coraggio e lanciassero apertamente l’OPA sul Partito, come fece Renzi nel 2012, dichiarando cosa vogliono fare e dove vogliono andare. A che serve fare l’elenco dei temi sul tavolo, constatare che le possibili soluzioni sono largamente incompatibili tra di loro, se non c’è qualcuno che si fa interprete di una linea e cerchi di allargare il suo consenso? Insomma, dov’è il nuovo Renzi? E se esiste, che cosa ha in mente? Qual è il suo disegno? Un partito ha senso se propone una visione, “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, dice la Costituzione (art. 49). “Determinare” significa scegliere, non barcamenarsi per non scontentare nessuno, significa prendersi la responsabilità di indicare soluzioni, possibilmente convincenti ed efficaci. Significa accendere un faro ben visibile e chiedere ai cittadini di orientarsi con quello. L’ultima vera novità nel PD, l’ultimo vero tentativo di dare al Partito una direzione chiara ed operativa dopo la fondazione di Veltroni, è stato quello del “maledetto” Renzi, eletto Segretario due volte col 70%. A prescindere dalla valutazione di merito (ognuno la pensi come vuole), è un fatto che ci abbia provato, ottenendo risultati visibili tutt’oggi. È finita con un’autentica damnatio memoriae. Anche chi ha combattuto Renzi con tutti i mezzi (ma proprio tutti, leciti ed illeciti …) dovrebbe riconoscere che quella scalata è stata efficace ed ha portato risultati concretissimi, compresi un 40,8% alle elezioni europee del 2014, tre anni di buon governo con conti a posto e Paese in ripresa, un numero impressionante di riforme, una legge elettorale col ballottaggio (mica quella attuale …), una riforma costituzionale ed un referendum, ordalia sulla quale il Nostro è stato infine crocifisso. Right or wrong, è così che si prende in mano un Partito e lo si impone all’attenzione generale. Chi pensa che Renzi abbia sbagliato tutto provi a fare di meglio, provi a indirizzare il Partito (questo o il clone che ne deriverà) in una direzione diversa. Semmai, ci riesce ... Solo che per farlo servono le idee chiare, la determinazione ed il coraggio di spaccare lo status quo, senza troppi riguardi per nessuno. Con i caminetti, le mediazioni ed i compromessi infiniti si arriva al punto morto in cui è oggi il Partito, punto che pare non essere molto soddisfacente per alcuno. Calenda e Renzi hanno preso una strada, chiaramente riformista ed europeista. Il PD (o quello che sarà) scelga la sua: vicina, distante, purché sia altrettanto chiara e riconoscibile, purché sia coinvolgente; altrimenti, come il Partito Socialista Francese, sarà più o meno lentamente svuotato dalle proposte già in campo. Credo sia l’ultima chiamata per un Partito che era nato per unire e che invece si è diviso, e resta diviso, in mille correnti in guerra tra di loro, senza una visione unificante. Si potrebbe obbiettare che comunque questi non sono affari miei, avendo io aderito ad un altro Partito. Può darsi, ma da cittadino riformista, migliorista, mi sento in dovere di ragionare sul futuro di questo sventurato Paese, che non vorrei vedere dilaniato da due diversi populismi. Ci deve essere una terza strada. C’è una terza strada, e io non voglio smettere di crederci. Lasciamo perdere scacchi e tarocchi, cavalli e matti, il tempo non è molto e parecchi milioni di cittadini, checché se ne dica, aspettano e hanno diritto ad avere un’alternativa da sposare ed una visione in cui credere. Altrimenti l’era della destra sarà più lunga di quella dell'Acquario.
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