Le due manifestazioni di sabato scorso a Roma e a Milano mostrano con allarmante chiarezza lo stato di paurosa confusione che regna sovrano, a sinistra, a destra, di qua, di là. Tutte le persone normali aborrono la guerra e desiderano la pace: solo gli squilibrati e i più cinici businessmen del settore possono amare la guerra e aborrire la pace. Ciò detto, evidentemente non abbiamo detto niente perché, aldilà dell’enunciazione generica di principi condivisibili ma del tutto vuoti di significato politico, l’applicazione pratica passa da azioni radicalmente diverse e soprattutto non conciliabili, come dare o meno armamenti, sanzionare ed isolare gli aggressori. Ho già avuto modo di ricordare che negli anni Settanta la pace nel Vietnam significava senza infingimenti il ritiro degli Americani, cosa effettivamente avvenuta nel 1975. Così fu per i Sovietici dall’Afghanistan, o gli Alleati occidentali dall’Iraq. Significava cioè che una parte, l’invasore, doveva cedere e girare i tacchi per tornare indietro. Indietro, è chiaro? Qui le cose sembrano molto diverse. C’è tutta una parte di popolo che NON chiede il ritiro dei Russi, NON chiede il ripristino della sovranità degli aggrediti, chiede la pace e basta. Tutto, purché la smettano (e il non detto è: “… di rompere le palle al resto del mondo!”). Ipocrisia pelosa, beato infantilismo, doppiogiochismo cinico e spregiudicato, semplice ignoranza delle più basilari norme del diritto internazionale? Di tutto un po’, ma lo spettacolo è deprimente, sconfortante. Da qualsiasi parte lo si guardi, vedere questo spreco di risorse, di mobilitazione, di energie, senza un obbiettivo preciso, concreto, perseguibile, è davvero intollerabile. Ho ascoltato decine di interviste raccolte dai solerti cronisti sabato pomeriggio a Roma e nessuno, dico nessuno, né politici né cittadini né intellettuali né opinionisti né preti né sindacalisti che avesse dato un’indicazione concreta di come arrivare alla pace che invocavano a gran voce. Solo: “Basta: fermatevi! Negoziate una pace!”. E nessuno che desse segno di capire che “fermatevi” significa, per gli ucraini, arrendersi alla violenza russa. Sembrava che nessuno volesse fare 2+2, e concludere che, se c’è un aggressore e un aggredito (cosa che in molti in effetti riconoscevano), la somma = 4 significa che chi aggredisce deve terminare l’aggressione e tornare indietro. Indietro, è chiaro? Se di tanto o di poco, quando e fino a dove, forse poterà essere oggetto di negoziato, ma il verso è uno solo: tornare indietro! Tutto il resto è fuffa, è ipocrisia, è chiudere gli occhi per non guardare, è volgere lo sguardo mistico e spiritato al cielo per non volgerlo verso terra, verso le macerie, i morti, il sangue, gli stupri e le torture. Comodo fare gli evangelici con la pelle e la libertà degli altri! L’ha capito in fretta anche Bergoglio, il Papa, che ha subito dismesso l’abito neutrale improvvidamente indossato a inizio guerra (“l’abbaiare della NATO…”), per schierarsi decisamente con la resistenza ucraina. E questi invece no. Anche preti, associazioni cattoliche e perfino gli strumentalizzati boy scout che aprivano il corteo. Tutti a urlare PACE senza spingersi un centimetro più in là per chiedersi: QUALE PACE? Nessuno di loro ha il coraggio di dire: “QUELLA DI PUTIN”, e allora si fermano al 2+2, senza tirare la somma. Ma, piaccia loro o meno, 2 più 2 fa 4; e la prima cosa con cui dovrebbero fare pace è la logica, oltre che la loro coscienza, troppo in fretta messa a tacere con uno slogan o una bandiera arcobaleno. Avrei voluto vedere se gli Americani ottant'anni fa si fossero limitati a fare manifestazioni nelle università o in Central Park e chiedere PACE, invece di venire a morire ad Anzio, a Cassino, oppure ad Omaha Beach. Tutti i pacifisti da un tanto al chilo dovrebbero fare un giro in Normandia prima di riempirsi la bocca con il parolone PACE. Quei prati verdi, pieni zeppi di croci bianche con sopra un nome, il grado e la provenienza, dicono che la pace non è un’idea astratta, dicono che la pace deriva da azioni, da scelte che sono nelle mani degli uomini, dei governanti e dei cittadini, e purtroppo spesso anche degli eserciti. Chi non vuol vedere la realtà semplicemente acceca la sua mente oppure, in malafede, approfitta della cecità altrui. Vedere il neo pacifista progressista Giuseppe Conte abbracciato al rivoluzionario di professione Maurizio Landini, davanti ad una bandiera arcobaleno, mi ha provocato uno sconquasso mentale dal quale farò fatica a uscire, ma spero di non essere rimasto l’unico che crede ancora nella lucidità, nel raziocinio, nell’onestà intellettuale. E come dimenticare il viso di Enrico Letta, coperto da una inutile mascherina, inseguito da fischi, buu, frizzi e lazzi dei "veri pacifisti"? Questo s’è visto sabato pomeriggio a Roma, in un tripudio di luoghi comuni, di ispirate invocazioni senza alcun costrutto, con cinici politicanti a sfruttare l’emozione popolare. Certo, è sempre bello vedere tanta gente che auspica la pace; di sicuro meglio di certe adunate novecentesche, dove la guerra era salutata come evento salvifico e purificatore. Ma a quelli che la guerra aggressiva poi la fanno sul serio bisognerà pur resistere ... o li lasciamo fare porgendo l’altra guancia? Quale miserabile equivoco è quello che confonde un nobile sentimento assoluto come la pace con il quieto vivere quotidiano, accucciato davanti al prepotente di turno? La vita ci mette in continuazione di fronte a scelte sempre diverse, spesso tragiche. E solo chi ci si trova può sapere cosa si prova davvero. Chi decide di resistere all’aggressione merita rispetto ed appoggio concreto e non sa che farsene di uno sguardo trasecolato che invoca la PACE, sulla sua pelle. Sarà ancora lunga, ma una sola cosa, per il bene di tutti, bisogna avere chiaro in mente: gli aggressori si devono fermare e girare i tacchi. È da lì in avanti che si può negoziare.
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