“Distruggere prima di costruire” – dicevamo. Non è facile, ma c’è chi riesce a farlo, purtroppo. Si dirà, “meglio non costruirlo, un ecomostro, meglio strappare i progetti e non lasciarne traccia”, ma il fatto è che del palazzo c’era e c’è un gran bisogno, serviva e serve sostituire due villette con una costruzione moderna, funzionale, con alta efficienza energetica, e ovviamente non un ecomostro. Le villette esistenti saranno pure graziose e confortevoli, ma sono senza ascensore, poco efficienti, senza un moderno sistema di trattamento dell’aria, e dio solo sa quanto ci sia bisogno di far circolare aria fresca e pulita, nella politica italiana. Dicevamo che la storia attribuirà responsabilità e emetterà giudizi. A suo tempo. Per ora c’è da raccogliere i detriti e soprattutto escogitare come dare alloggio a qualche milione di elettori cittadini che non vogliono acconciarsi allo schematismo dei muri contrapposti, al populismo, al sovranismo e tutte quelle simpatiche amenità che piacciono tanto nei talkshow e che ben conosciamo. Ci vorrà un po’ di tempo e molto sangue freddo, tante idee e soprattutto coerenza e coesione nella classe dirigente. Coerenza e coesione. Ovvero remare tutti nella stessa direzione, discutere sì, ma con ordine e rispetto; e chi preferisce la rissa dovrebbe accomodarci da qualche altra parte. E pure in fretta. Senza fare ulteriori danni. È presto per capire dove andremo a parare, anche perché il progetto politico era GIUSTO e infatti nessuno l’ha messo in discussione. Questo è il paradosso, peraltro sottolineato da tanti … Le cause del fallimento sono altre: in sintesi, secondo me, sono due: - Calenda non si fida, non si è mai fidato, di Renzi: che siano preconcetti o no, è un fatto evidente;
- Renzi non ci sta a scomparire dalla scena, come Veltroni, che scrive romanzi, fa film e documentari.
Ora, la fiducia, o c’è o non c’è: non è fungibile. E non c’è regola che tenga. Non si fa alcun affare, di nessun tipo, con chi sospetti che possa fregarti da un momento all’altro. E infatti Calenda ha rotto l’affare. Renzi, dal canto suo, non accetterà mai di uscire di scena: resterà presente, vigile e propositivo in ogni caso ed in ogni modo. E la fantasia non gli manca. Ora farà il direttore di giornale, ma potrebbe anche fare il conduttore di talkshow, o presentare Sanremo, oltre che fare il Senatore della Repubblica. Questo dovrebbero averlo capito tutti ormai ma, evidentemente, non proprio tutti … Quando Calenda ha detto, e ripetuto più volte, che s’era illuso che Renzi, guadagnando due milioni di euro, avrebbe potuto dedicarsi ad altro, ha dimostrato una serie di cose, tutte molto poco edificanti: non conoscenza della persona, non conoscenza della politica, una evidente caduta di stile, e forse anche un po’ di invidia. E poi dargli del lobbysta, in modo sommario e del tutto immotivato (lobbysta di che?), dopo averci lavorato insieme per anni ed in mille ruoli diversi … Davvero cose molto poco edificanti per un aspirante leader … Adesso è andata: come in Highlander, solo uno resterà in piedi: sono aperte le scommesse, ma le quotazioni ad oggi paiono davvero molto poco equilibrate. Il potenziale bacino di interesse nell’elettorato, effettivo e potenziale, non è influenzabile da quanto successo e rimane pressoché intatto. Queste turbolenze verranno presto derubricate ad increspature dello spazio-tempo, cose che vanno e vengono, a stento misurabili, come le onde gravitazionali. Resterà l’iniziativa politica concreta, per la quale Renzi serve, resta disponibile, ma non basta; serve anche una classe dirigente matura, creativa, e costruttiva. E non è detto che sia solo quella di Italia Viva. Gli adulti nella stanza adesso sono quelli che vanno avanti, e che devono dimostrare di esserlo, senza isterismi né ripicche infantili. La strada sarà lunga e accidentata. La decisione di Calenda è uno smacco soprattutto per lui, che aveva l’occasione, servitagli sul piatto d’argento, per esercitarsi da leader, per dimostrare di esserlo sul campo, e l’ha buttata via in malo modo. Ha avuto paura di essere incastrato, di essere fregato: l’ha detto lui stesso. Ma con la paura non si fa politica, almeno nel terzo millennio. Mettersi in gioco significa anche accettare la concorrenza, accettare gli stimoli che vengono da fuori, scavalcare le difficoltà, e non inalberarsi e rovesciare il tavolo. Carlo Calenda non si è sentito di rischiare ad andare avanti con le premesse e le promesse già concordate. Credo che adesso anche molti dei suoi avranno qualcosina da dirgli in proposito. È difficile avere un leader con la fama consolidata dello sfasciacarrozze che ha già litigato con Letta, con Bonino, con Renzi, e che forse litigherà pure con sé stesso … La politica è l’arte di costruire, non di distruggere, e lui si è caricato sulle spalle tutta la responsabilità della rottura, cercando poi di ribaltarla con argomentazioni francamente tanto deboli che persino Gruber gliele ha smontate con facilità. Il tempo, forse, sarà giudice imparziale. Ora il problema è dare al più presto un tetto ai molti cittadini elettori che sono ancora senza casa e sono disamorati dalla politica, tanto che votano a caso, a pelle o, meglio, non votano affatto. La mia impressione è che Azione subirà un forte contraccolpo da questa vicenda. Certamente lo avrà anche Italia Viva, ma mentre le opinioni su Renzi oramai sono consolidate, nel bene e nel male, Calenda aveva l’opportunità per testare la sua leadership, anche accettando la compresenza di Renzi. Non l’ha voluto fare. Quindi non parlerò più di Bibì e Bibò: il precipitare degli eventi ha fatto sì che le marachelle e le intemperanze uscissero dall’ambito della sana vivacità per entrare in quello della demolizione. E chi demolisce senza sapere come ricostruire non raccoglie simpatie, paga prezzi alti, finisce in punizione, in collegio …
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