Inutile negarlo: l’infausto esito delle elezioni del 25 settembre scorso ha terremotato tutta la politica italiana. Non sarebbe stato ineluttabile, se solo un po’ di saggezza politica avesse albergato in alcuni protagonisti, ma ormai è inutile recriminare. Sangue da certe rape non ne esce … Quell’esito ha conferito alla destra un potere totale, per il quale è risultata finora largamente non attrezzata, con quel che ne consegue riguardo alla qualità dell’amministrazione. Infatti arraffano tutto il disponibile in modo bulimico, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Speriamo che almeno reggano i conti pubblici … All’opposizione ha tolto letteralmente l’aria per respirare. E infatti da quelle parti si annaspa come non mai … La forza politica più nefasta che si ricordi, dal fascismo in avanti, ovvero i cinquestelle, arrivata alle elezioni in pesante debito di ossigeno, si è salvata in corner, enfatizzando le sue più bieche pulsioni populiste, solleticando il peggio dell’animo di un certo elettorato italiano, e lo ha fatto senza ritegno, visto che era questione di vita o di morte. Purtroppo non è morta (politicamente, intendo). Pur fortemente ridimensionati, i cinquestelle con Conte in testa, sono anzi apparsi quasi vincitori (e i media loro amici hanno favorito questa fuorviante e truffaldina lettura) e stanno scardinando dall’interno un’area politica altrettanto a corto di idee e di leadership come è il PD del dopo-Letta (e del dopo-Zingaretti), all’interno del quale hanno trovato appoggi entusiastici presso tutti quelli che il PD lo hanno osteggiato per anni, fin dalla nascita, e con tutti i mezzi. Il cosiddetto Terzo Polo ha messo insieme alla bell’e meglio una proposta politica che avrebbe avuto bisogno di ben più tempo per essere sviluppata correttamente. Ha però dato dimostrazione di esistere. In seguito, il PD ha cercato di riprendersi con l’elezione di Elly Schlein, sperando che l’effetto novità potesse nascondere le profonde differenze di vedute all’interno del partito e dell’area: abbiamo visto un Segretario chiaramente eletto dagli iscritti buttato giù da un indistinto popolo di simpatizzanti che ha innalzato a fenomeno l’outsider. Per un po’ ha funzionato, ma la politica è anche sostanza e la sostanza è che mezzo partito non è affatto contento di correre dietro al populismo becero ed opportunista di Giuseppe Conte. Vengono fuori ogni giorno malumori, distinguo, appelli, petizioni, affinché il PD torni alle origini del Lingotto 2007: wishful thinking, ormai quel momento è andato e non ritornerà. Ceccanti, Morando e Tonini, tre delle migliori teste pensanti del Partito, hanno messo nero su bianco i loro dubbi e chiedono a gran voce di essere ascoltati. Per ora loro non se ne vanno, ma alla lunga … Intanto più di qualcuno se n’è già andato. Il Terzo Polo ha inscenato e sta ancora inscenando uno psicodramma denso di aspetti patologici. L’idea del partito unitario non era affatto male, ma c’è chi lo ha sabotato per motivi NON POLITICI ed ha cominciato a picconare peggio del Cossiga Presidente a fine mandato. Impossibile metterci una pezza, quando si scade agli insulti da cortile, quando si va da Floris il martedì a lamentarsi di fronte a Bersani (!!), tra i sorrisetti del conduttore contento come una Pasqua della squallida commedia cui sta assistendo. Ora è tutto un fuggi-fuggi, movimenti di personale, retroscena, rese dei conti, accuse di scippo senza uno straccio di ragionamento politico: lo spettacolo non è affatto edificante, e prima si chiude questa triste pagina, meglio è. Carlo Calenda porterà per sempre la responsabilità di non avere saputo fare quello che doveva fare, cioè il leader. I manuali di management insegnano che, se un capo è malvisto da tanti, è quasi sempre colpa sua. La leadership prevede anche e soprattutto pazienza, capacità di ascolto, di team building, volontà di fare sintesi e non solo imposizione del carisma, ammesso che questo ci sia davvero. Ora bisogna andare avanti: bisogna avere il coraggio di superare queste miserie e ricostruire una proposta politica. L’obbiettivo prossimo, ormai vicino, sono le elezioni europee ed è a quelle che bisogna prepararsi. Bisogna cambiare tutto: rifondare tutto il gruppo, dargli basi di valori e di programma forti e riconoscibili. Serve nome e simbolo nuovi, che diano un’idea chiara di cosa vogliamo rappresentare: riformismo, europeismo, valori democratici, più in alto delle famiglie ormai stantie delle ideologie novecentesche. Ho già detto spesso che dobbiamo rifuggire la tradizionale distinzione tra destra e sinistra, ma non perché vogliamo essere centristi, o moderati, ma perché la destra e la sinistra che abbiamo davanti (e non solo in Italia) sono ormai largamente insufficienti ad affrontare le sfide che abbiamo davanti come Paese e come Unione Europea. Vanno ridefinite nel profondo, e noi dobbiamo farci carico di porre basi politiche chiare. Non è col populismo, col movimentismo, o col sovranismo, che possiamo pretendere di contare qualcosa tra i giganti continentali, e nemmeno tra i nostri principali partner europei. Tutti possiamo constatare l’enorme distanza che ci separa dalla foto di Draghi, Macron e Scholz sul treno per Kyiv, in una notte meno di un anno fa … sembra passato un secolo. Il panorama politico è terribilmente confuso: il Governo non riesce a decidere nulla di ciò che dovrebbe, si auto-paralizza e si butta su questioni marginali, di puro effetto scenico. I media impazziscono dietro al gossip, facendo a gara a chi può mettere di più in difficoltà la parte presunta avversa. Si lotta su ogni testata, sui telegiornali, in RAI, un’ammuina generale che lascia tutti ammaccati e soprattutto che corrobora il deleterio e diffuso sentimento del “sono tutti uguali”. D’altra parte l’opposizione tutta è un cantiere senza un progetto, dove presunte archistar litigano furiosamente, senza affrontare mai l’oggetto del cantiere. E chi ci prova con proposte concrete viene sbeffeggiato sui media e accusato di intelligenza col nemico. È del tutto evidente che ogni tentativo di tenere nello stesso Partito, qualunque esso sia, movimentisti, populista e riformisti è pura follia. Serve chiarezza. Lasciando quindi ad Elly Schlein il compito non agevole di regolare i conti con l’opportunismo dell’avvocato del popolo e dei suoi degni sodali, bisogna al più presto qualificare un’area riformista, superando tutte le distinzioni capziose e personalistiche che finora hanno tarpato le ali al progetto. È un lavoro di pazienza, ma che richiede determinazione ferrea. È un lavoro che sarà ostacolato in ogni modo proprio perché è importante e rischia di incidere sul futuro del Paese. Le risorse non mancano, la fantasia neppure, il coraggio, c’è chi ce l’ha; per gli altri, “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Dopo un terremoto sembra sempre che nulla tornerà come prima, eppure, se si lavora alacremente e con intelligenza, spesso si torna perfino meglio di prima. Certo, bisogna ispirarsi ai giapponesi, o ai friulani, o agli emiliani, ma è dimostrato che si può fare.
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