La neo Segretaria del PD non sta vivendo giorni tranquilli: non credo si diverta, o che si trovi a suo agio, ma io non vorrei essere al suo posto (e infatti non ci sono … perché mai dovrei esserci?). È stata eletta per ridare nuova linfa ad un partito squassato da divisioni e polemiche; dopo aver perso le primarie tra gli iscritti per 35 a 53, le primarie aperte avevano ribaltato, cosa mai successa prima, il risultato con la conseguenza che ora Elly è la Segretaria di una minoranza del Partito che governa. Si dirà: quelle sono le regole che il PD si è dato, questo è il risultato. E non ci dovrebbe essere nulla da dire. Peccato che le “primarie aperte” fossero state inventate da Veltroni nel 2007, alla nascita del PD, quando questo coltivava la cosiddetta “vocazione maggioritaria”, ovvero mirava a costituire la grandissima parte dell’area di centrosinistra. Ed in effetti lo fece, visto che alle elezioni del 2008 il PD prese quasi il 35%. In quella situazione, aveva molto senso chiamare alla scelta del leader tutto il popolo di centrosinistra, larghissima parte del quale già si riconosceva nel nascente PD. Non a caso le primarie esterne avevano sempre confermato quelle interne: con Veltroni, con Bersani, con Renzi, persino con Zingaretti, quando la “vocazione maggioritaria” era già stata sostituita da una più rassicurante “vocazione minoritaria”, ancora e sempre più in auge anche adesso. Ma ora, con il centrosinistra spaccato in mille tronconi, dal populismo massimalista dei cinquestelle (che tutto sono fuorché di sinistra, ma che una banda di ingenui fessacchiotti, insieme ad antichi volponi, furbi di tre cotte, ha comunque cooptato) al riformismo liberale del Terzo Polo (o quello che ne resta dopo le mattane di Carlo Calenda) passando appunto per il PD, mantenere le primarie aperte significa lasciare il destino del proprio partito alla volubilità di un elettorato del tutto indistinto. E così è stato: largo lo sconcerto tra molti dirigenti, deputati, amministratori, semplici iscritti e simpatizzanti, che mai avrebbero pensato di trovarsi in una situazione così imbarazzante. Però, però, Schlein è stata eletta giusto con un programma che prevedeva chiaramente la svolta movimentista e, come in ogni movimento che si rispetti, è difficile cercarci un’organicità di programma. Si procede per slogan, per suggestioni, per dichiarazioni identitarie, convinti che i milioni di voti persi verso l’astensione o verso i cinquestelle siano voti destinati a rientrare, prima o poi. E così Elly si è impegnata in un difficile match race all’inseguimento dei voti perduti e, come in ogni match race (basta ricordare le sfide di Coppa America tra Luna Rossa e New Zealand) la tattica è fare esattamente quello che fa l’avversario, senza mollarlo nemmeno per un secondo. L’obbiettivo infatti non è arrivare il più in fretta possibile al traguardo, ma arrivarci prima dell’avversario, a costo di seguirlo anche all’inferno. La tattica, largamente sperimentata in oltre un secolo e mezzo di competizioni, si presta però a rischi non piccoli. Intanto nel match race i contendenti sono solo due: non ci sono terzi in gara di cui preoccuparsi, poi capita che uno skipper, particolarmente ben assistito dal suo equipaggio, possa decidere di sparigliare e correre da solo verso il traguardo. Tattica molto rischiosa, ma qualcuno talvolta ci ha anche vinto la Coppa. Ecco, Schlein ora sta marcando stretto Giuseppe Conte: va dove va lui, affronta i temi che affronta lui, usa gli slogan che usa lui, lo stesso linguaggio, salvo trovarsi all’improvviso in una piazza dove fanno da mattatori anche Moni Ovadia, fortemente sospettato di affinità putiniane, e Beppe Grillo, tornato come uno zombie da un lungo viaggio nell’Altrove, “a miracol mostrare”. Brutti incontri, molto indigesti per larga parte del suo Partito, che infatti ribolle di scontento, disapprovazione, perfino rabbia. Poveri, non conoscono i rischi del match race! Il problema è che nessuno pensa che Elly possa vincere la Coppa … Ma lei ci prova, è arrivata lì (qualcuno dice che l’hanno messa lì, ma suona offensivo) apposta e, malgrado i rovesci e i vistosi cali di vento, lei continua col marcamento stretto del furbo avvocato-che aveva-la-pochette. E corre il rischio di dimenticarsi che ci sono ben altri concorrenti sul campo di regata e quindi fare finta di giocare solo in due è terribilmente pericoloso. Capita che chi si stufa del gioco salga su altre barche, o si faccia sbarcare e resti a terra. Sta capitando. Hai voglia a dire: sono casi isolati e il saldo è ancora positivo ma, se i riformisti del PD, che non sono quattro gatti, dovessero prendere il coraggio a due mani e cercare altri imbarchi, ecco che il 20-22%, ora faticosamente ma solo apparentemente riguadagnato, piomberebbe a meno della metà. Sbaglierò, però … Significa uscire dal campo di regata e rimandare la sfida di almeno quattro anni. Probabilmente con uno skipper diverso. Non succederà, ma potrebbe succedere. Ci sono argomenti, come l’appoggio all’Ucraina, sui quali il Partito è saldamente schierato e non si lascerà trascinare in avventure finto-pacifiste filo-putiniane. La scorsa settimana al Parlamento Europeo il gruppo del PD si è già esibito votando una mozione in tre modi diversi: sì, no, astensione. Roba da fuori di testa …! Sabato scorso quel volpone di Beppe Grillo ha apparecchiato una trappola niente male, comparendo all’improvviso in piazza e lanciando messaggi volutamente ambigui, molto ben calcolati nelle parole e nelle evocazioni (brigate, passamontagna, …), tutti ben calibrati per provocare quello che in effetti hanno provocato: un polverone che ha messo la Segretaria in difficoltà. Ci sono cascati tutti, dimenticando di avere a che fare con un vecchio guitto in disarmo, ma ancora capace di colpire. È davvero complicato il compito di Elly, e non c’è da invidiarla. C’è solo da sperare che la parte riformista del PD alzi la voce, si faccia sentire, rivendichi la sua presenza e la sua dimensione. Come farlo, devono deciderlo loro, ma tenere in piedi “l’anomalia” di un Partito che non si sa da che parte stia è esiziale. In un modo o nell’altro, i riformisti tutti, ovunque collocati, DEVONO trovare una strada comune, altrimenti si prenderanno la responsabilità storica di avere lasciato il Paese in mano alle destre per chissà quanti anni. Non bisogna precipitare le cose, ma nemmeno lasciarle andare senza controllo. A me pare un compito certamente complicato, ma fattibile. Non c’è match race, il traguardo è tornare al Governo. Prima del prossimo decennio.
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