L’incipiente ed ormai inevitabile collasso definitivo del Terzo Polo (pare sia imminente anche la separazione dei gruppi parlamentari) segna un altro brutto e triste momento nella storia del riformismo. L’ennesimo tentativo di avviare un progetto concreto, non elitario, ambizioso, di soggetto politico riformista e democratico è naufragato, come tanti altri, come sempre. Sarebbe interessante coinvolgere l’esimio professor Recalcati nell’analisi del perché ciò avvenga, così sistematicamente, se per motivi legati alle persone, alla cultura politica, alla storia, alla maledizione di Montezuma o a malefici influssi astrali, o perché proprio l’idea del progetto è sbagliata alla radice, perché “… dal legno storto di cui è fatto l’uomo…” (E. Kant). Ora però vorrei ragionare sulle conseguenze che tale disastro avrà sul quadro politico italiano (e non solo … Macron non sarà contento). Paradossalmente, il Polo che nasceva per combattere il finto bipolarismo bi-populista rischia invece di rafforzarlo, sguarnendo quell’area che doveva raccogliere tutti quelli (tanti, pochi, non lo sapremo mai …) che al bipopulismo non volevano rassegnarsi. Li lascia orfani e li spinge o da una parte o dall’altra, dove saranno e continueranno ad essere una minoranza irrilevante. Li spingerà forse anche a non votare, ancora più irrilevanti. Faccio fatica a trovare motivi di distinzione e dissenso che non siano pretestuosi: a maggio s’è rotto sull’opportunità di tenere la Leopolda, adesso su una proposta, ancora tutta ampiamente da discutere, di salario minimo, o addirittura su una cena estiva al Twinga con la signora Santanchè. Dobbiamo credere anche a Babbo Natale? Anche no. Il fatto è che un progetto davvero riformista è operazione che “fa tremar le vene e i polsi”, richiede una forza ed una determinazione che con tutta evidenza non ci sono nella società e nella politica italiane. I tre anni di Governo Renzi, gli unici nei quali un riformismo moderno ha cercato di dispiegarsi per davvero, sono finiti come sappiamo, anche se le riforme fatte sono ancora quasi tutte lì, dal Jobs Act alle banche popolari, dalla fatturazione elettronica al 730 precompilato, dall’IRAP forza lavoro agli 80 euro, dall’abolizione dell’IMU prima casa all’autorità anticorruzione, dalle unioni civili al terzo settore ed al dopo-di-noi. E se i lanzichenecchi a cinquestelle, complici Lega e FdI, hanno fermato Industria 4.0 e Italia Sicura, ora anche la destra al Governo forse capisce che bisognerebbe ripensarci. Ma l’idea stessa che si potesse davvero mettere mano ai problemi strutturali del Paese è risultata talmente indigesta che perfino un monumento internazionale come Mario Draghi è stato abbattuto senza pietà, ora è un anno, nell’inerzia generale, anzi con un certa qual sadica alacrità, come quando si oltraggia il primo della classe. Era evidente che bisognasse in tutti i modi portare il Governo Draghi fino al 2026, anno di fine del PNRR, ma questo avrebbe comportato uno stravolgimento degli equilibri di potere, un cambio di passo nelle strutture ministeriali, una crisi nelle forze politiche che non sarebbero risultati sopportabili. Meglio far saltare tutto. E anche adesso salta tutto: meglio niente che qualcosa, meglio litigare che costruire con pazienza, con tolleranza, soprattutto con intelligenza. E già, perché questa rottura per prima cosa è stupida. È stupida perché non ha sbocchi, perché costringe tutti a tornare al Via! senza nemmeno le 20.000 lire del Monopoli. L’impresa non è per persone normali: servono persone eccezionali, con capacità eccezionali e caratteri eccezionali. Se ci sono, si facciano riconoscere, è il momento, altrimenti si terrà un inutile Congresso (parlo di quello imminente di Italia Viva), aspettando un nuovo aspirante Messia, che rischia di arrivare troppo tardi o mai o di restare subito imballato, mentre come carbonari si tenterà di imbastire l’ennesima tela, che al primo refolo di vento verrà lacerata. Triste il destino del riformista: condannato come Sisifo a riportare la pietra sul monte per vedersela rotolare addosso non appena la vetta si avvicina. Sono cent’anni che quella pietra riformista va su e torna giù, ma la gravità, che evidentemente non è riformista, vince sempre. Sisifo era molto furbo, il più furbo e intelligente, narra il mito, ma la punizione fu tremenda e definitiva. Non basta l’intelligenza, servono anche altre doti. Per essere ancora più chiari: Matteo Renzi, naturale interprete del deus ex machina, non può più evitare di riprendersi sulle spalle l’intera responsabilità dell’impresa. Tocca a lui, direttamente. Si sottoponga alla competizione congressuale e, se eletto, riparta con forza e decisione: altrimenti esca dalla scena. Lo rimpiangeremo, forse, ma la storia deve andare avanti comunque … La modalità “fantasma di Banquo”, incombente ma assente, non permetterebbe a nessun altro di gestire con efficacia il progetto politico. O vince il Congresso oppure lo perde, e il nuovo leader dovrà poter avere le mani completamente libere. La democrazia funziona così e non bisogna averne paura. Ricominceremo quindi per l’ennesima volta, sperando di traghettare la pietra dall’altra parte del monte, malgrado il mito sfavorevole e la forza di gravità, che continuerà a non essere riformista. La fisica dice che per cambiare stato serve energia, spesso tanta energia, e con la fisica non si discute.
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