Siccome al peggio non c’è mai fine, ora toccherebbe occuparsi della telenovela meloniana interpretata dalla Premier e dal suo esuberante compagno Giambruno, nonché dei suoi raffinati comportamenti che tutti ormai, nostro malgrado, siamo stati costretti a conoscere. Uno dei commenti alle eloquenti performance audio e video potrebbe essere: “Ma come fa un buzzurro simile a trovarsi a fianco alla Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana? Ma insomma, signora mia …!” Dimenticheremmo però che ci è stato a fianco non per una fugace avventura estiva ma, per ammissione della stessa interessata, per ben dieci anni, con annessi “momenti bellissimi” e relativa procreazione. È dunque diventato buzzurro solo adesso? Gli avrà dato alla testa l’inedita condizione di “first gentleman” (… “gentleman” … non ridete, per favore …)? O questa squisita e galante raffinatezza è sempre stata nelle sue corde? Insomma, si smanacciava anche davanti alla compagna Presidente? Che non gli ha mai detto nulla né mollato un ceffone? (Oddio, “compagna Presidente” mi pare spropositato, e pure offensivo per molti eroi del passato, ma tant’è … non ci sono più le mezze stagioni …!) Insomma, non è difficile arrivare alla conclusione che “il livello è basso”, come diceva Pazzaglia a Quelli della notte (per chi se lo ricorda). Questi sono fatti così, e si piacciono così, salvo farsi trovare … con le mani sul pacco. E allora hai voglia a prendere le distanze, a disquisire su gocce e pietre, si prenda atto che questa classe dirigente (sic!!) è così e così dobbiamo tenercela, visto che non siamo capaci di mettere insieme una alternativa credibile. Mia nonna, forse un po’ razzista, ma in ben altri tempi, avrebbe sentenziato: rustica progenie semper villana fuit, sancendo l’immutabilità di una condizione socioculturale “coatta”, da cui questi non hanno alcuna intenzione di emanciparsi. Non facciamoci illusioni. E dire che avremmo notizie ben più importanti da commentare … ed anche da piangere. Sabato mattina ci ha lasciati Sergio Staino, 83 anni, una persona, un maestro al quale ero fortemente legato e dalla cui amicizia ho tratto un grande arricchimento politico e culturale. Abbiamo litigato di brutto mille volte, ci siamo criticati e sfottuti (lui un gigante e io un nano …), ma il suo acume e la sua onestà intellettuale erano impareggiabili. Era riuscito a navigare indenne attraverso esperienze politiche mirabolanti e indescrivibili, dal marxismo-leninismo albanese a Tango (“chi s’incazza è perduto!” era il suo motto), fino al renzismo militante e poi dopo ad un anti-renzismo passionale e largamente irrazionale, passando attraverso decenni di tumultuosa evoluzione politica, creando linguaggi e personaggi che radiografavano gli umori della sinistra molto meglio di tante pensose analisi. Tutto con un candore ed una trasparenza che nel panorama dell’informazione italiana sono semplicemente inesistenti. Sergio non faceva satira, faceva sempre politica, col guizzo dell'intelligenza. Ha inventato, ha insegnato ma anche imparato, con mente aperta e soprattutto attraverso una laicità innata, che lo ha portato a collaborare, lui ateo conclamato, con i Vescovi di Avvenire, senza rinunciare a nulla di sé, anzi scoprendo una sorprendente capacità di umanizzare la religione. Il suo Bobo (con famiglia) vivrà per sempre e dovrebbe rappresentare un costante riferimento per tutti noi perenni litigiosi, ammonendoci che ci si può pure sfinire di discussioni, ma che alla fine dovrebbe sempre prevalere l’interesse della comunità e del cittadino, che spesso invece guarda allibito le evoluzioni e le contorsioni della classe politica. Negli ultimi anni della sua vita fu chiamato proprio da Renzi a dirigere l’Unità, nella speranza di risollevarla da una crisi mortale. Accettò con l’entusiasmo di un bambino che finalmente ha il giocattolo tanto desiderato con cui giocare, ma prese l’incarico talmente sul serio da far prevalere l’intellettuale organico di sinistra sull’ingenuità, la freschezza e il disincanto di Bobo. Il giornale risultò pesante, serioso, privo di quella verve e di quella vitalità che invece avrebbero dovuto animarlo. Glielo dissero in tanti, inutilmente. Avesse lasciato che fosse Bobo a dirigere l’Unità avrebbe forse fatto il miracolo. Non lo fece e avvenne l’inevitabile. Sergio ne soffrì moltissimo, addossò a Renzi la responsabilità del fallimento e da allora troncò i rapporti con lui, ma non con il mondo riformista che a Renzi faceva riferimento. Sergio si definiva un anarchico riformista e dimostrava continuamente che la definizione non era affatto un ossimoro. Conservo gelosamente testimonianze dirette … Purtroppo ora ho perso un altro mentore, dopo Giuseppe Turani, un altro maestro a cui devo tantissimo, che mi ha dato fiducia e che mi ha sempre spronato a cimentarmi con la tastiera. Sono voci importanti che vengono a mancare, voci insostituibili, ed è desolante ritrovarsi sempre più soli … Ma i maestri se ne vanno, com’è naturale che sia, e ci lasciano la responsabilità di andare avanti. Hanno dato tanto, non li dimenticheremo, ma adesso tocca a noi. Chi si ferma è perduto, anzi, “chi s’incazza è perduto”.
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