La linea politica è chiara. Alternativa al massimalismo dell’attuale sedicente sinistra di Conte e Schlein e al sovranismo della destra, molto becera anche se a suo modo efficace, di Salvini e Meloni. Riformismo contro populismo. E se lo chiamiamo Centro è solo per comodità lessicale, non per una pretesa di equidistanza, di ambiguità, di moderazione o, peggio, di difficoltà a schierarsi. I populismi non sono tanto diversi tra di loro: estremizzando, la recente corrispondenza di amorosi sensi scoppiata tra un nostalgico del Ventennio fascista come Gianni Alemanno e un nostalgico del Settantennio sovietico come Marco Rizzo lo dimostra in modo lampante. Populisti, sovranisti, nazionalisti, autocrati, antioccidentali, si intendono alla perfezione; Conte e Schlein si presentano meglio, non c’è dubbio, e sono (almeno Schlein) un po’ più articolati e problematici ma, gratta gratta, il grillismo originario dell’Elevato e l’orgoglio romantico e nostalgico della Ditta sono sempre ben presenti e fanno preferire una bella sbandierata in piazza, piuttosto che il certosino lavoro politico di chi vuole costruire un’alternativa improntata al riformismo. Riformismo, come nelle migliori esperienze europee, da Blair a Macron e come nelle purtroppo saltuarie e precarie esperienze italiane, da Prodi a Veltroni, da Renzi fino a Draghi, sempre interrotte sul più bello dalla maledetta e ormai centenaria tendenza al frazionismo, dalla perenne diffidenza verso i leader, nonché dalla altrettanto atavica resistenza al cambiamento di gran parte della società italiana, di destra e di sinistra. Nulla spaventa di più tanti italiani di un possibile cambiamento della propria comfort zone, anche se di questa si lamenteranno sempre … succubi di una endemica necessità di lamentarsi. Il senso della comunità e dello Stato sono da sempre latitanti nella cultura di questo Paese ... La posizione politica è però anche molto pericolosa: un ipotetico Centro rischia di venire stritolato tra due blocchi non maggioritari ma comunque consistenti, blocchi che non gradiscono fastidiose interposizioni, che potrebbero disturbare la loro manichea contrapposizione, profonda o superficiale che sia. Insomma, meno disturbi ci sono e meglio è. Inoltre, l’area riformista appare frastagliata e spezzettata come non mai, litigiosa e per niente propensa a compiere le pur minime mediazioni necessarie per aggregarsi sotto un’unica bandiera e costituire così una alternativa politica visibile e soprattutto credibile. La sciagurata sublimazione (passaggio da solido a gassoso) del fu Terzo Polo ne è la dimostrazione più evidente: è infatti difficile trovare cause politiche consistenti del fallimento (ripeto: quella linea politica è chiara), eppure il Terzo Polo è fallito lo stesso e adesso chi ne parla ancora è guardato come un poveretto, che vive tra le nuvole e non vuole scendere a terra. Sarà …! Le prossime elezioni europee, in regime rigidamente proporzionale con soglia di sbarramento, sarebbero l’occasione migliore per testare la consistenza della proposta politica. Scegliendo di rinunciare alla prova, ci si espone al rischio tremendo di mandare dispersa una notevole quantità di voti, oltre che favorire il già scontato astensionismo dei delusi. La soglia del 4% rende possibile ed anche probabile questa eventualità, le cui nefaste conseguenze si ripercuoterebbero anche sulla possibilità di formare una solida maggioranza nel Parlamento Europeo, senza le ali estreme sovraniste, populiste, nazionaliste, insomma senza gli antieuropeisti. È chiara la posta in gioco? Ecco perché un buon numero di persone di buona volontà (quorum ego) si sta spendendo per evitare questo scenario catastrofico, spingendo al massimo l’impegno pubblico e privato. Gli avversari cercano di fare leva su contrasti e divisioni, cercano di ignorare l’esistenza di una realtà diversa dalle loro, e quindi ai riformisti non resta che alzare la voce per farsi sentire. Sarà un lungo cammino fino a giugno e bisognerà cercare, e trovare, gli argomenti giusti per rendere evidente a tutti l’esigenza di una posizione alternativa al populismo. Bisognerà individuare pochi ma precisi temi su cui concentrare la comunicazione, battendo sul differente approccio che vogliamo proporre. Pochi, ma molto incisivi. Avremo contro il sistema dei media, che adora le semplificazioni e quindi preferisce gli scontri diretti, senza terze posizioni a complicare la narrazione. Avremo contro gli apparati dei partiti, che non amano essere importunati fuori dai loro schemi. Avremo contro i social, dove prevale la schematizzazione brutale e dove le posizioni politiche vengono sempre ridotte a caricatura. Cionondimeno, dobbiamo riuscire a parlare alla gente in modo semplice e razionale, parlare a chi non vuole adattarsi alla banalizzazione, a chi pensa che per cambiare bisogna per prima cosa guadagnarsi “il potere” di cambiare e in Europa, senza una maggioranza coesa, non si conclude e non si cambia nulla. L’Europa ha davanti anni molto complicati, anni nei quali dovrà conquistarsi definitivamente un posto nel mondo, tra giganti in lotta tra di loro per l’egemonia, giganti che hanno buon gioco contro i singoli Stati nani europei. Ben diverso sarebbe il rapporto con una politica estera, economica, soprattutto un esercito, che siano espressione unitaria e coerente di 450 milioni di persone. In alternativa, l’Europa resterà subalterna militarmente e tecnologicamente agli Stati Uniti, dipendente energeticamente da Paesi instabili e non democratici, diplomaticamente ininfluente nel rapporto tra i grandi player. La nuova legislatura sarà quanto mai cruciale per la definizione del posto che l’Europa occuperà nel mondo nei prossimi decenni. Se i riformisti non riusciranno a dettare l’agenda e ad indirizzare Governi e Commissione, l’irrilevanza sarà inevitabile. Quando si gioca tra giganti e il gioco si fa duro, un topolino non ha grande futuro; certo non tra i duri che cominciano a giocare … PS: la Camera, dopo il Senato, ha definitivamente licenziato un obbrobrio di legge, promossa dal mitico cognato Lollobrigida e dalla Coldiretti, e votata da un’ampia maggioranza, che vorrebbe impedire lo sviluppo della cosiddetta carne “coltivata” (impropriamente e provocatoriamente detta “sintetica”). Non torno sul merito dell’argomento, al quale ho dedicato molto spazio a fine luglio. Voglio solo augurarmi, qui ed ora, che il Presidente Mattarella, che con la sua saggezza già contribuì a bloccare un altro obbrobrio di legge che invece sponsorizzava l’imbroglio dell’agricoltura biodinamica, voglia fermare, non firmandola, una legge oscurantista, antiscientifica, retriva, protezionista, figlia del più gretto corporativismo, che mette l’Italia fuori da tutti i possibili sviluppi di una tecnologia molto promettente dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Tra l’altro, una legge del tutto inutile perché, quando l’Europa approverà la diffusione di quella carne, e certamente a suo tempo lo farà, nessun Paese potrà impedirla, checché ne dica oggi la Coldiretti, con il prode ministro Lollobrigida. Coraggio Presidente, contiamo su di Lei. |