Allora, ricapitoliamo: - il 7 dicembre c’è la tradizionale prima della Scala, da sempre occasione mondano-istituzionale di altissima risonanza nazionale, trasmessa in diretta televisiva su Rai 1 (la cosa non è irrilevante per il seguito del racconto)
- c’è il solito palco reale con le autorità, e quest’anno capita che il più alto in grado nel palco non sia il Presidente Mattarella (a cui il Don Carlo forse non piace) ma tocchi a quel bel “fascistone” (sintetizzo: “absit iniuria verbis”) di Ignazio La Russa, ahinoi presidente del Senato, la cui presenza potenzialmente imbarazzante è stemperata dalla senatrice a vita Liliana Segre, che di quell’esperienza storica conserva e testimonia ricordi non proprio gradevoli
- c’è l’esecuzione dell’inno nazionale, che nel 1999 fu occasione di una “simpatica” diatriba tra il Presidente Ciampi ed il Maestro Muti il quale, con la consueta modestia, si era rifiutato di suonarlo per imperscrutabili motivi artistici
- c’è un oscuro (ma ora più conosciuto ed intervistato di Chiara Ferragni) signore nel loggione che, alla fine dell’inno, decide di erompere nel grido (era un grido o una declamazione?) “viva l’Italia antifascista”
- c’è un ignoto (finora) ma solertissimo funzionario della DIGOS, che decide, in base a procedure sicuramente al di sopra di ogni sospetto e forse immaginate per grida come “Allah akbar”, di procedere alla identificazione del gridante (o del declamante)
- c’è una confusa esecuzione dell’ordine durante il primo atto, perfezionata durante il successivo intervallo, con modalità che non vale la pena scandagliare.
Adesso viene il bello: - c’è tutto un mondo social antifascista che insorge come un sol uomo verso la patetica (qualcuno la definirà “vanziniana”, dall’indimenticato autore dei cine-panettoni) operazione della DIGOS (“e adesso identificateci tutti …!”)
- c’è tutto il mondo dei media (giornali, talk-show, telegiornali, su qualsivoglia supporto) che si appropria del gustoso fatterello e ne parla per giorni, scandagliandolo, vivisezionandolo e di conseguenza schierandosi in tutti i modi possibili, come in un fantastico Kamasutra mediatico
- c’è quindi un’altra parte dei media che di converso si scandalizza per tanto clamore, interrogandosi ed ironizzando giustamente sui meccanismi di formazione della notorietà, sul famoso “quarto d’ora di celebrità” di Andy Warhol o chi per lui, e sulla disperante vacuità del dibattito politico in Italia
- c’è infine un ininfluente blogger (un “in-influencer”) quale io sono che non resiste alla tentazione di assimilare tutto questo fantastico processo alla filastrocca di Branduardi, ricordando che essa finisce con il Signore che vince sull’angelo della morte, che aveva sopraffatto il macellaio, che aveva ...
Ognuno tragga le conclusioni che più gli aggradano … e la finiamo così.
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