Immaginiamo di vivere in una di quelle villette a schiera che punteggiano (e ingombrano) i panorami di molte località italiane (e non solo). Vicini di qua, vicini di là, vicini avanti e vicini dietro: al massimo un giardinetto privato di pochi metri quadri. Immaginiamo che tutti, dico tutti, i vicini facciano di tutto, ma proprio di tutto, per mandarci via dalla nostra villetta ed appropriarsi della nostra proprietà, che ci considerino intrusi, e quindi ci gettino l’immondizia nel giardino, ci aizzino contro cani, gatti ed altri animali, si introducano nottetempo per farci danni, aggrediscano qualche familiare, o anche peggio, con il dichiarato obbiettivo di farci sloggiare da lì, per mandarci il più lontano possibile. Noi ovviamente reagiamo, cerchiamo di contrastare gli aggressori, ma la nostra vita sarebbe comunque un inferno, immersa in un conflitto perenne ad intensità crescente, anche se nel frattempo qualche nostro amico ci fornisse sì materiale per difenderci ed anche per offendere, ma senza impegnarsi più di tanto, per timore di rimanere coinvolto nel conflitto. Immaginiamo infine che questa incresciosa situazione si protragga per decenni … generazioni dopo generazioni: difficile restare freddi, calmi e indifferenti …. Ecco, avrete capito dove voglio andare a parare. Lo Stato di Israele è appunto una villetta a schiera sul bordo orientale del Mediterraneo, ed è circondato da organizzazioni, Stati e gruppi armati, che dichiaratamente lo vogliono distrutto. Ripeto: distrutto, annientato. Non auspicano infatti un cambio di governo, di maggioranza, di programma, mire politiche insomma. Neanche una vittoria militare. No: lo vogliono distrutto, cancellato dalla carta geografica. Praticamente, la “soluzione finale”. Ricorda qualcosa? Hezbollah a Nord, Hamas a Sud, Houthi un po’ più in là, gli ayatollah dell’Iran subito dietro, in cabina di regia: non è facile vivere così per quasi ottant’anni, e senza alcuna prospettiva di miglioramento. Nel giudicare cosa sta accadendo in Medio Oriente, e cosa è accaduto negli ultimi decenni, bisognerebbe sempre tenere bene a mente lo scenario sopra illustrato. Poi va bene lo stupore, l’indignazione, anche la rabbia, per le reazioni anche spropositate che vediamo alla televisione o che leggiamo nei resoconti di chi si trova là. Ma non dimentichiamo mai il contesto. A prescindere da tutto, lo Stato di Israele difende da decenni la sua esistenza da chi vuole semplicemente farlo sparire. Non è politica, non è lotta per il potere, è lotta per la sopravvivenza. Personalmente, ho sempre auspicato una soluzione politica che preveda popoli diversi che convivano in un solo Stato, che sia laico e democratico, piuttosto che due popoli in due Stati, entrambi confessionali, come potrebbero essere uno Stato palestinese islamico e uno Stato israeliano ebraico (peraltro divenuto esplicitamente tale solo da pochi anni con la modifica, voluta dalla destra, delle Leggi Fondamentali). In quella terra convivono da millenni diverse realtà, etniche, culturali, religiose. Quella terra è di tutti e tutti dovrebbero abitarla in pace e concordia, né più né meno come facciamo nei nostri liberi Paesi occidentali dove, bene o male, conviviamo tra diversi, tutti dentro alle regole della democrazia laica e liberale. So bene che sto auspicando un’utopia, un sogno, una chimera; quindi sarei felice lo stesso di vedere anche solo i due Stati di cui si parla da decenni, ma che nessuno finora ha comunque avuto interesse a realizzare. Niente da fare, non si smonta il mostruoso meccanismo dell’insofferenza reciproca, dell’intolleranza religiosa, dell’incompatibilità di interessi precostituiti, dell’intento di sopraffazione. E allora ci tocca assistere alle mostruosità prodotte da una faida che nessuno riesce a governare: la misurazione delle mostruosità in una situazione simile è solo sadismo mediatico. Nessuno nemmeno sfiora le radici di tanto astio, ormai quasi secolare. Il fondamentalismo sciita lotta per la supremazia nel mondo musulmano contro quell’Islam “riformista”, in prevalenza sunnita, che tenta di avvicinarsi, pur molto lentamente e con estrema difficoltà, ai valori occidentali. Forse lo fa solo per il business, ma intanto lo fa e si muove. La cosiddetta “Pace dei Figli di Abramo” è osteggiata in ogni modo da chi ha dichiarato la Guerra Santa al demone occidentale. Dopo la caduta del Muro e la fine della Guerra Fredda questo è diventato il primo leitmotiv della grande Storia del mondo, a cui si sovrappone in contrappunto il protagonismo delle nuove potenze orientali e il neo-imperialismo di Putin. Tutti questi convergono contro i valori del mondo occidentale, che è visto non solo come concorrente industriale e commerciale (e questo sarebbe nell’ordine delle cose), ma anche e soprattutto come sentina di tutti i mali, come un sistema da abbattere. Allora anche per noi si tratta di sopravvivenza, e quindi qualcuno deve fare il lavoro sporco, altrimenti cadremo tutti vittime del fondamentalismo, delle autocrazie, del neo imperialismo. L’espansionismo di Putin è in perfetta continuità con l’imperialismo degli Zar, di Stalin, delle gerontocrazie sovietiche e delle oligarchie post-sovietiche: gli lasciamo campo libero o lo contrastiamo? I cinesi fanno concorrenza sleale: li lasciamo fare? I fondamentalisti della jihad non vogliono convivere pacificamente, vogliono imporre i loro modelli di vita, come in Afghanistan: glielo permettiamo? Ovvio che il primo strumento deve essere il dialogo attraverso la civile diplomazia, ma contro chi usa i tank ed altri strumenti di morte è difficile andare armati solo della ragione. Un nuovo ordine nel mondo sta prendendo forma e nessuno sa come verrà determinato. Vogliamo almeno partecipare a questo processo con la forza delle nostre idee, dei nostri modelli di convivenza e tolleranza, delle nostre tradizioni democratiche e liberali? A ripensare tutto un mondo dovremmo essere tutti, insieme, con gli strumenti pacifici del confronto e del dialogo. Chi mette mano alle armi non aiuta, vuole solo imporre il suo dominio. E a chi non ci sta, non resta che la scelta tra opporsi o soccombere.
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