Dopo il 6 gennaio del 2021, giorno in cui gli Stati Uniti d’America hanno vissuto un violento tentativo di colpo di Stato sobillato da un Presidente uscente che non voleva uscire dopo avere perso le elezioni, tentativo sventato con morti e feriti (mica una sceneggiata!), dopo quel funesto episodio nessuno sano di mente, in nessuna parte del mondo, avrebbe potuto immaginare quello che è successo dopo. Il Presidente uscente, fatto sloggiare a forza, non solo non ha subito conseguenze penali, non solo non è stato additato alla pubblica vergogna, non solo non è stato bandito dal consesso civile, ma ha continuato a tempestare la società americana con le sue intemperanze politiche, si è ricandidato ed ha anche vinto in modo netto ed inequivocabile. Forza della democrazia! Tra una dozzina di giorni rientrerà trionfalmente in quella Casa Bianca che aveva dovuto lasciare ignominiosamente quattro anni fa. Avete presente il Bollettino della Vittoria firmato Diaz del 4 novembre 1918? Bene, l’esatto contrario: hanno vinto gli austro-ungarici di Cecco Beppe: quelli che avevano disceso le valli con orgogliosa sicurezza, ora le risalgono con ancora maggiore baldanza. Nessuno, nessuno, avrebbe potuto scommettere su un’ipotesi così folle. Eppure … Inutile adesso prendersela con il presunto buonismo (o peggio) di Joe Biden, con la mancanza di coraggio dei democratici americani, con le pastoie di un sistema giudiziario che non è stato capace di impedire tutto questo. Inutile. Fatto sta che è successo e nessuno oggi è in grado di prevedere le conseguenze sulla Storia del mondo. Tutti azzardano ipotesi, qualcuno l'imbroccherà pure, ma resta il fatto che siamo di fronte a qualcosa di assolutamente inaudito, comprese le minacce di invadere la Groenlandia, annettere il Canada e cambiare il nome al Golfo del Messico. Tutti dovremo fare i conti con questa spiacevole realtà, sia chi intende opporvisi sia chi già corre scodinzolando ad omaggiare il nuovo Padrone. Cosa sta succedendo? È del tutto evidente che i nostri sistemi democratici cosiddetti occidentali siano sotto attacco come forse mai prima: negli anni Venti del secolo scorso tutto era molto meno sofisticato, le istituzioni erano molto più rozze e quindi esposte ed indifese. Allora alcuni scriteriati, non del tutto politicamente irrilevanti, pensarono che in fondo era un bene, che il fascismo avrebbe accelerato lo scoppio della rivoluzione proletaria. Alcuni scriteriati, inclusi nomi insospettabili della intellighenzia italiana ed europea. Anche adesso si sentono corbellerie simili nel vociare dei talk show, ma ormai la cacofonia è tale che tutto passa senza lasciare traccia. La democrazia è sotto attacco dall’esterno e dall’interno, è stato detto. Ci sono i regimi autoritari all’esterno e ci sono i partiti autoritari all’interno, sempre più presenti, sempre più aggressivi, sempre più votati. E già, perché la democrazia contiene in sé i germi della sua distruzione che, se non contrastati con efficaci anticorpi, possono distruggerla con tutti i suoi principi. Giusto per riepilogarli, a mo’ di Bignami: - uguaglianza di diritti e doveri per tutti e uguaglianza delle opportunità di sviluppo di ognuno
- libertà assoluta per tutti, con il solo limite di non offendere la libertà degli altri (e non è limite da poco …)
- solidarietà tra tutti gli esseri umani
- fiducia nel metodo scientifico e nella ragione umana.
Sono i principi irrinunciabili e non negoziabili su cui sono state formate le nostre democrazie e che adesso vengono TUTTI rimessi in discussione. Discriminare gli immigrati e le minoranze viola l’uguaglianza, aggredire gli altri nell’anonimato della rete viola la libertà e la dignità altrui, l’egoismo e la sperequazione economica violano il principio di solidarietà, le più disparate ed astruse teorie “no-tutto” offendono la scienza e la ragione. Tanto per fare qualche esempio a caso … I Paesi con Governi autoritari minacciano e sfondano i confini degli Stati adiacenti, i partiti autoritari hanno programmi elettorali apertamente liberticidi e paiono pure riscuotere molto successo: qualcuno ancora (forse per poco) dall’opposizione, qualche altro già felicemente al Governo, magari sorretto da maggioranze molto solide e da una propaganda micidiale. Hanno dunque vinto le forze antidemocratiche? Ci avviamo al declino della nostra civiltà occidentale che, bene o male, ha vissuto 250 anni, tra molte traversie, ma anche con esaltanti successi? Questa volta è davvero finita la Storia? Il mainstream dell’informazione registra un’assenza desolante di speranza: tutto sembra ineluttabile e pare impossibile invertire il senso. Eppure, una larga parte, forse non maggioritaria ma comunque consistente, dei cittadini non ha ancora mandato il cervello all’ammasso; pare però disorientata, smarrita, impotente, senza prospettive. Che fare? Lasciare che tutto faccia il suo corso e l’inerzia della Storia rimetta le cose in carreggiata? Non funziona. Le decadenze delle civiltà sono sempre state irreversibili. L’energia per riprendere la via dello sviluppo democratico diventa ogni giorno più ingente e rende il recupero sempre più difficile ed improbabile. Non resta che fare affidamento su noi stessi: tutti, ognuno di noi, nel nostro piccolo o grande. Cercare e trovare la forza dentro di noi. Il compito è riaccendere nei cuori e nelle teste la voglia di crescere insieme, di essere comunità, di migliorarsi. Una volta questo era il compito delle ideologie, oggi non basta più. Troppe sono le sollecitazioni a cui tutti siamo esposti. Non ce la faremo senza una nuova presa di coscienza collettiva. La politica, quella sana, riformista, non ideologica, deve fare esattamente questo: offrire uno sguardo diverso sul futuro. Non basta indignarsi, gridare all’affronto subito, rifiutare il confronto e ritirarsi sdegnati, in attesa di tempi migliori. Il rischio è aspettare molto, molto a lungo. Fare politica significa cercare soluzioni percorribili, non isolarsi nella presunta purezza di chi finge di avere in tasca ricette salvifiche. Non ce ne sono. Si deve partire da chi ci sta, da chi ha un comune sentire e via via aggregare altri, fino a costituire una massa critica capace di riportare al centro della scena i valori della democrazia. Può essere un percorso lungo, ma non è detto: il mondo cambia velocemente e bisogna essere pronti a recepire ogni possibilità di cambiamento. In modo pragmatico, senza schemi preconcetti. Bastano quei quattro principi irrinunciabili. Continuare a discutere di leadership è deleterio: i leader escono da soli. Cercare le distinzioni e non i punti di contatto è da irresponsabili. Gli anni Venti del Novecento dovrebbero averci insegnato la lezione. Chi non l'ha capita, è in malafede. Qualcuno ha richiamato il Comitato di Liberazione Nazionale che ci condusse fuori dal fascismo e verso la democrazia. Ecco, l’atteggiamento mentale deve essere quello. Stanno attaccando la democrazia, un intero sistema politico, il nostro modello di vita: non è solo una battaglia su punti di vista diversi. È in gioco una diversa concezione del mondo, che sta imponendosi rapidamente, della quale intravediamo solo contorni agghiaccianti. Nessuno verrà a salvarci, se non lo faremo da soli. Tutti i riformisti democratici, le persone di buona volontà, quelli che hanno capito la gravità della situazione e non si tirano indietro. Usiamo gli strumenti che abbiamo e facciamoci sentire qui, come Unione Europea (è la nostra unica speranza …), in USA, nell’Oriente democratico. Siamo pragmatici. Se la gente si sente insicura, inutile convincerla che si sta sbagliando: bisogna darle fatti concreti. Se tolgono il fact-checking dai social, è inutile indignarsi e gridare al liberticidio (anche perché non c’è alcuna garanzia sulla correttezza dei controllori). Meglio allora pretendere la caduta di ogni forma di anonimato, in modo che ognuno si prenda la sua dose di responsabilità personale. Sono solo esempi, ma indicano una direzione. La Storia non torna mai indietro: Elon Musk non partirà per Marte, resterà qui e dovremo confrontarci, Trump sarà Presidente per quattro anni almeno, Meloni quasi, e via così. Vogliamo capire che dobbiamo vincere, al più presto, e non sprecare tempo a distinguerci e misurarci il tasso di riformismo?
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