Il caso del sito sessista dal nome inequivocabile, che mostrava foto di donne famose (spesso politiche), esponendole a commenti volgari e trucidamente offensivi, pone di nuovo con forza il problema dei comportamenti degli utenti della rete. È innegabile che oggi la rete ospiti, oltre ai tanti contenuti utili, anzi ormai imprescindibili, anche il peggio della feccia umana, fornendole uno sfogatoio immenso, coperto dalla certezza dell’anonimato. Una volta questa sordida funzione era svolta solo dai cessi delle stazioni o degli autogrill, o dai muri di zone degradate, oggi la platea è amplificata in modo abnorme dalla diffusione della rete, dove di siti così ne esistono in abbondanza, e da moltissimi anni. L’ho scritto non so più quante volte, ho rotto gli zebedei anche a parlamentari nazionali ed europei, ho riscosso molto scetticismo, anche apprezzamenti e pacche sulle spalle, ma nessuno, dico nessuno, nel mondo politico ha ritenuto opportuno esporsi (lo fece Marattin anni fa e mal gliene incolse) con una battaglia esplicita e coraggiosa sull’argomento. Il timore di mettersi contro i giganti del web evidentemente è troppo forte: si preferisce non mettere la faccia su iniziative ad alto rischio di popolarità e di incidenza economica. Tuttavia, ogni volta che succede qualcosa di eclatante, come oggi, partono le geremiadi sull’inciviltà e l’ignoranza delle persone, sulla crudeltà del mondo moderno, sulla condizione delle donne, spesso vittime di questo malcostume. Nessuno però vuole occuparsene seriamente. La rete è una gigantesca piazza nella quale ad ognuno è permesso dire e fare ogni cosa protetto da un cappuccio in testa, e guai a chi propone di abolire il cappuccio. Ormai la rete ha oltre trent’anni, siamo ben fuori dalla fase pionieristica, entusiasta ed entusiasmante, libertaria, dei primi anni. La rete è diventata come l’acqua corrente o l’energia elettrica: nessuno può farne a meno, tutti devono farci i conti. Eppure, si continua a considerarla un’area franca da qualsiasi regola, anche la più banale, di comportamento. Vale solo il business immenso che la rete sottende. I social mettono in comunicazione in ogni momento miliardi di persone, ma senza una norma, un codice, un modello di comportamento, senza un minimo di garanzia di civiltà. Tutto è permesso, tutto è lecito, salvo lamentarsene quando si incappa in situazioni come quella che abbiamo sotto gli occhi adesso. Tra due giorni però non se ne parlerà più e si andrà avanti come sempre, senza che nessuno metta in atto qualche provvedimento concreto. Ti dicono: è difficile tecnicamente, anzi è impossibile, oppure, è inutile, che ci vuoi fare? L’uomo è una bestia …, come diceva Bracardi ad Alto Gradimento (per chi ha l’età per ricordarselo). Ma che due persone che entrano in contatto si presentino l’un l’altro a me pare il minimo della civiltà nei rapporti umani, rete o non rete. Ognuno di noi ha la sua identità e nei paesi civili a nessuno è concesso di nascondersi dietro uno schermo impenetrabile. Lo Stato, per conto della società, ha il diritto di identificare chiunque e nessuno può rifiutarsi: non è un attacco alle libertà personali, è solo civiltà. Ti dicono: ma la rete è globale, che ne sai dove sono i server, chi li gestisce, che poteri nascondono, … Appunto, a maggior ragione c’è bisogno di trasparenza, almeno nei Paesi dove vige un contratto sociale civile e moderno. I russi (tanto per fare un esempio) facciano cosa vogliono, ma se gli europei, gli occidentali, fossero tutti identificati, quelli non identificati si identificherebbero per differenza. Non è lo scioglilingua dell’arcivescovo di Costantinopoli, è pura logica. Oggi, io ed il troll di San Pietroburgo siamo uguali, indistinguibili. Domani, io sarei individuabile ed il troll russo sarebbe isolato. Non è garanzia totale di superamento del problema, ma sarebbe comunque una bella spinta all’educazione e una bella dissuasione per il leone da tastiera nostrano. Paura di essere perseguito? E perché mai? Abbiamo forse paura a parlare in pubblico? Dobbiamo farlo protetti da uno schermo, come i pentiti di mafia? Mica siamo in Russia … e allora distinguiamoci dai russi. Nei Paesi liberi c’è libertà di espressione, purché ci sia anche responsabilità di espressione; se do del coglione a qualcuno, devo metterci la faccia, altrimenti diamo tutti libero sfogo agli istinti più bassi … l’uomo è una bestia, appunto. Tecnicamente non è né difficile né impossibile. Un panel di esperti veri e ben finalizzati troverebbe modi e strumenti di realizzazione in poco tempo. Nulla è impossibile, d’altronde le piattaforme già conoscono di noi qualsiasi attività, qualsiasi preferenza, qualsiasi opinione. Quello che si fa sull’internet è come se lo si facesse in piazza, nulla è segreto per i gestori dei big data. L’intelligenza artificiale sfrutta tutto questo per mettere insieme informazioni, elaborarle e renderle disponibili a tutti. E noi ci illudiamo di essere impenetrabili … Se su Google vado a cercare informazioni sul Mozambico, dopo due ore mi arriva sullo schermo la pubblicità di qualcuno che organizza viaggi in Africa. Sanno tutto di noi, e noi insistiamo per mantenere un anonimato che ha il solo scopo di permettere a frustrati, deboli di mente, paranoici, maniaci, di dare libero sfogo alle proprie ubbie. È indecente. Succederà qualcosa? Temo di no. Ancora una volta se ne parlerà per qualche giorno e poi passeremo ad altro, fino al prossimo finto scandalo. I semafori rossi non sono Dio (era un album di Gino Paoli del 1974), ma stanno comunque lì ad evitare scontri pericolosi. Il codice della strada, come ogni regola condivisa, a quello serve: a diminuire il tasso di pericolosità nei rapporti umani. Nessuno considera un sopruso il divieto di fare pipì per strada. Non si fa e basta. E chi lo fa sa di violare una norma di comportamento e pure una qualche legge. Perché chi fa un apprezzamento sessista per strada o in un posto pubblico può essere perseguito e chi lo fa in rete non ha conseguenze perché non è individuabile, se non a costo di complicate indagini? I comportamenti impropri nella rete devono essere sanciti come tali e non devono essere tollerati. Cosa conferisce alla rete questa assurda patente di impunità? Solo la consuetudine e l’ignavia di chi dovrebbe adottare i giusti rimedi e non lo fa. Voglia di quieto vivere: forse, anche i leoni da tastiera votano, forse … ma di certo, senza le piattaforme social, come si fa a fare politica oggidì?
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