Attenzione, opposizione! Sta arrivando un trappolone! È molto evidente, per nulla nascosto o dissimulato, nondimeno è estremamente pericoloso. Il congegno letale è costituito dal prossimo referendum sulla cosiddetta riforma della Magistratura. Funziona così: come fai, sbagli! Se politicizzi l’evento e fai del NO un’arma contro la maggioranza, rischi di subire pesanti conseguenze in caso di sconfitta, perché la maggioranza risulterebbe molto rafforzata ed in più ti rinfaccerebbe di non essere in sintonia con l’elettorato (l’esperienza del nefasto referendum contro il Jobs-Act è recentissima e brucia ancora). Vero è che in caso di vittoria (bocciatura della riforma) potresti incassare buoni dividendi e cercare di mandare a casa il Governo ma, a parte che ad oggi la vittoria del NO pare poco probabile, la maggioranza cercherà di non commettere l’errore di politicizzare a sua volta. D’altronde, mettendola sul piano solo tecnico, si potrebbe perdere una ghiotta occasione di sfruttare un eventuale scivolone della maggioranza. In ogni caso si rinnegherebbe una posizione storicamente tenuta dalla sinistra nel corso di molti decenni: la cosiddetta separazione delle carriere è stata a lungo nei programmi elettorali, furono raccolte firme per appositi referendum abrogativi, se ne fece a lungo una bandiera riformista. Per cercare di uscire da questo spiacevole “impasse”, forse è il caso di guardare il merito della riforma e le sue conseguenze pratiche sulla gestione della Giustizia, e non analizzare tutto con la lente deformante della situazione politica contingente. La riforma, come tutti sappiamo, è stata appena approvata in Parlamento dalla maggioranza al Governo, per l’occasione rinforzata dai voti di Azione di Calenda, e con l’astensione di Italia Viva, che sostanzialmente la giudica mal scritta e poco risolutiva. Posizione un po’ pilatesca e comunque di difficile comunicazione. Gli altri, tutti contro. In realtà, la riforma separa carriere che sono di fatto già separate; sarebbe quindi una riforma “a salve”, se non toccasse invece anche alcuni punti nodali dell’organizzazione dell’ordinamento giudiziario: lo sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura in CSM dei magistrati requirenti e CSM dei magistrati giudicanti, e soprattutto l’istituzione dell’Alta Corte di Giustizia, nuovo organo a cui verrebbero devolute le funzioni disciplinari di entrambi i CSM. Questo è il vero nocciolo della riforma ed è questo ciò di cui si dovrebbe discutere per poter decidere cosa votare. L’ex-PM Antonio Di Pietro, implacabile inquirente di Mani Pulite negli anni ‘90 del secolo scorso, ha ben inquadrato la questione. La nuova struttura degli organi di governo costituisce uno stravolgimento dello “status quo”, e questo spiega l’allarme lanciato dall’ANM (il sindacato dei magistrati), che vedrebbe un forte indebolimento dei suoi poteri di condizionamento delle carriere, della struttura e della valutazione dell’intero corpo dei magistrati. Inoltre, il sorteggio dei candidati, previsto per i membri togati, renderebbe molto più difficile bilanciare le esigenze delle storiche “correnti” della Magistratura, veri e propri partiti politici (impropriamente) costituiti all’interno dell’ordinamento. Di Pietro ritiene molto opportuna la riforma. Ma, aldilà del parere di questo o di quello, è chiaro che si tratta di argomento molto delicato e specialistico, sul quale la competenza media di noi cittadini risulta assolutamente inadeguata. Ciò malgrado bisognerà esprimersi … Per questo è molto probabile che la campagna elettorale si sposti artificialmente su temi più facilmente comunicabili, tipo il pronunciamento pro o contro il Governo e la maggioranza. È quanto successe nel 2016 con il referendum sulla riforma costituzionale del Senato, del Titolo V, del CNEL, …, che si trasformò in modo quasi incontrollabile in un referendum pro o contro Matteo Renzi, che purtroppo cadde nella trappola. Allora fu tutti contro uno, con buona parte del PD che, pur avendo votato la riforma in Parlamento, la rinnegò proprio in opposizione al Segretario e Presidente Renzi. Non fu un bell’ episodio: ne ho scritto a lungo e non ci torno su. Però adesso la questione è ribaltata: la proposta viene dalla destra e la tentazione di ripetere lo schema Renzi, risultato vincente, in molti è fortissima. Ammesso che Meloni non abbia imparato la lezione … Ma, anche questa volta, dobbiamo metterci bene in testa che le riforme costituzionali sono cose molto serie e non dovrebbero, mai e in nessun caso, essere stravolte, piegate, forzate alle esigenze contingenti della lotta politica. Non si gioca con le istituzioni! La Costituzione è una cosa seria e non la si dovrebbe mai strumentalizzare per obbiettivi impropri. D’altronde, come nel 2016 non era affatto vero che la riforma avrebbe stravolto l’ordinamento dello Stato, anzi avrebbe razionalizzato e reso più efficienti e funzionali le istituzioni (si pensi solo al superamento della concorrenza Stato-Regioni, che ha penalizzato la gestione del COVID), così ora questa riforma non costituisce alcun vulnus per la democrazia né sconvolge le funzioni della Magistratura né tantomeno prevede l’assoggettamento dei giudici all’Esecutivo. In particolare, questo è tipicamente un argomento fittizio, creato ed usato per drammatizzare la discussione sulla riforma; deve essere invece chiaro che le modifiche non riguardano affatto l’indipendenza della magistratura, che continuerà ad essere garantita dall’art. 104 della Costituzione. Non è escluso che la maggioranza coltivi quell’intenzione, ma servirebbe comunque un’altra riforma costituzionale, con tutto l’iter procedurale previsto dall’art. 138, nuovo referendum compreso. Insomma, un film ancora tutto da scrivere e girare, assolutamente non in programmazione. Le argomentazioni dei sostenitori del NO sono tutte oggettivamente molto deboli, a partire dalla citata presunta intenzione di assoggettare i PM all’Esecutivo per finire al timore di sfasciare la Magistratura, di instaurare un regime illiberale di tipo orbaniano, tutte cose di cui nella riforma non c’è traccia. Si può sostenere che la riforma sia parziale, forse mal scritta, incompleta, ma non pericolosa per la democrazia. D’altronde, la storia è piena di riforme non perfette, ma che hanno cambiato in meglio la società: le unioni civili, violentemente contestate da alcuni talebani travestiti da occhiuti intellettuali, la legge 194 sull’aborto, lo stesso divorzio com’era negli anni Settanta, e via così. Tutte riforme che sono anche state aggiustate in seguito, ma che nel frattempo hanno inciso profondamente sulla vita delle persone. Il riformismo deve saper accogliere anche successi parziali, deve accettare anche i piccoli passi: tutto e subito, oppure niente e basta, sono slogan infantili, prepolitici, e pure pericolosi, perché lasciano le cose come stanno, anche se non vanno bene. Sostenere che la Giustizia oggi vada bene com’è, e non necessiti di riforme, è davvero da ipocriti. Non a caso, la separazione delle carriere è sul tavolo da decenni. Ora c’è l’occasione per intervenire, e sprecarla per fare dispetto a Meloni mi pare davvero uno sfregio alla storia della sinistra. Il trappolone c’è e non è disinnescabile del tutto, ma c’è modo e modo di farlo scattare. Buttarcisi sopra anima e corpo, giocando un all-in sul NO, a me pare da incoscienti. In caso di sconfitta le conseguenze sarebbero terribili: bissare a distanza di un anno l’errore madornale dei disastrosi referendum landiniani sul Jobs-Act sarebbe segno di totale incapacità politica. Quindi: attenzione, opposizione! attenzione al trappolone! Se si votasse domani, io voterei SÌ. Ma ne parleremo ancora e ancora, più avanti …
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