La vicenda della famiglia che vive nei boschi d’Abruzzo è improvvidamente assurta all’onore delle prime pagine per motivi squisitamente contingenti, evocati da parte di una maggioranza di governo disperatamente alla ricerca di diversivi dalla misera Finanziaria e dalle non esaltanti prestazioni elettorali. Essa ha comunque portato in primo piano alcuni aspetti fondamentali del nostro vivere in società e non è quindi inutile approfittare per ragionare sui vincoli che il vivere in comune pone a tutti i cittadini. La vita in una società organizzata è ed è sempre stata regolata da un numero molto grande di divieti, di norme comportamentali, di usi e tradizioni, di convenzioni tacitamente accettate da tutti. Non potrebbe essere altrimenti … Dei tre principi fondamentali alla base degli Stati moderni, libertà, uguaglianza e solidarietà, il primo è quello più soggetto a vincoli e restrizioni di ogni genere. La vita in una comunità, per quanto slabbrata essa possa essere diventata nel tempo, comporta comunque che la libertà del singolo non debba mai entrare in collisione con quella di tutti gli altri. Dato però che evitarlo del tutto è fisiologicamente impossibile, sono state istituite una serie di norme, scritte e non scritte, che regolano i rapporti tra umani e cercano di evitare che l’unica legge diventi quella del più forte. Tutti siamo soggetti alle leggi ed alle consuetudini che guidano la nostra vita di ogni giorno. Nessuno può attentare alla libertà degli altri, può offenderlo, può violare i suoi beni, come nessuno può fare la pipì in pubblico o passeggiare senza vestiti, urlare o far baccano di notte (e spesso anche di giorno), appropiarsi di cose non sue, parcheggiare nei posti per i disabili, e via così. Tutti accettiamo di fermarci col semaforo rosso, e paghiamo multe se non lo facciamo, senza considerare la cosa lesiva dei nostri diritti fondamentali. In sostanza si tende a limitare la sfera di libertà di ognuno, in modo che il secondo principio, l’uguaglianza, sia rispettato. Non fare agli altri quello che … I comportamenti personali, qualora non lesivi dei diritti degli altri, devono comunque rimanere del tutto liberi. In altre parole, se uno volesse andare a vivere nei boschi come Dersu Uzala (meraviglioso film di Akira Kurosawa, uscito cinquant’anni fa, che consiglio di cercare e vedere, o rivedere …), nessuno potrebbe impedirglielo; se lo facesse con una compagna consenziente, ancora nulla quaestio, purché comunque rimanessero registrati all’anagrafe, con codice fiscale e tessera sanitaria, e pagassero le tasse, qualora avessero redditi imponibili. Ovviamente non potrebbero istallarsi nei terreni di qualcuno, a meno che non fossero da questo autorizzati. Liberi sì, ma sempre appartenenti ad un nucleo sociale, dal quale nessuno può radiarsi volontariamente. “Chi l’ha visto?” ce lo ricorda ogni settimana. Il contratto sociale non va firmato di volta in volta: esiste a prescindere e prevede obblighi automatici. Non fosse così, la nostra società diventerebbe presto invivibile e finiremmo per scannarci l’un l’altro per strada (non che questo non avvenga, ma le leggi, le forze dell’ordine, la Magistratura, esistono proprio per limitare al massimo le possibili derive). Ma se al novello Dersu Uzala (ed alla sua ipotetica compagna) capitasse di mettere al mondo dei figli? Fin dove arriva il diritto dei genitori e dove comincia quello della comunità sociale cui appartengono, malgrado la vita nei boschi? Tutti concordiamo, spero, sul fatto che i figli non siano “di proprietà” di nessuno. I figli sono portatori di diritti autonomi per il semplice fatto di essere persone: fino alla maggiore età sono sotto la tutela dei genitori, ma i genitori non possono disporne a piacimento. Chiaro, no? Le scelte di vita dei genitori non possono limitare i diritti dei figli, in alcun modo, e lo Stato non può disinteressarsene, perché i figli sono cittadini: minorenni, ma sempre cittadini da tutelare. Quindi, l’obbligo scolastico, l’obbligo di vaccinazione, l’esigenza di socializzazione, l’educazione, devono essere rispettati nell’esclusivo interesse dei piccoli, anche contro le intenzioni dell’eventuale padre-padrone (o della madre-padrona …). Lo Stato si è dotato di strutture di assistenza sociale, di leggi, di norme, che saranno imperfette, forse insufficienti, ma esistono e funzionano. La Magistratura deve vigilare sulla loro applicazione. Nessuna ingerenza, nessuno scippo, nessuna violenza, solo semplice applicazione della legislazione vigente, nonché del puro buon senso. Infatti, rileggendo quanto scritto finora, mi pare di avere scritto delle sonore e solenni ovvietà. Mi domando se ce ne fosse bisogno; mi rispondo che non dovrebbe … Ma allora perché da quindici giorni mezza (e più) Italia discute dell’ovvio? Talk show, editoriali, dibattiti, persino sondaggi di opinione (non possono mancare), … tutto per sondare l’ovvio, per distrarci da altri argomenti, per non perdere una ghiotta occasione di polemica coi magistrati, con i quali non è difficile attaccare briga, di questi tempi. Ma ciò che ovvio era, sempre ovvio rimane! PS: intanto il nostro Dersu Uzala ha approfittato del clamore mediatico per sistemarsi in una cascina meglio attrezzata … buon per lui e famiglia. Al vero Dersu Uzala non andò così bene … E adesso, sotto con un altro diversivo …!
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