I populisti, quelli veri, sono imbattibili. Nel senso che il loro messaggio è talmente diretto, esplicito ed accattivante, che per molti è irresistibile. Individuare un nemico da combattere, dare risposte semplici a problemi complessi, anche se le risposte non sono per niente efficaci, illudere che basti poco per fare gli interessi di chi si sente abbandonato, affidarsi ad un demiurgo, uomo o donna, che ha sempre la risposta pronta, mai dubitativa ma fortemente assertiva, sono strumenti che fanno molta presa e conducono alla vittoria nelle elezioni, specie quando buona parte dell’elettorato neanche si prende più la briga di fare una passeggiata fino al seggio la domenica (o il lunedì). Per essere populisti bisogna esserlo fino in fondo: e così si ottengono i risultati eclatanti che vediamo. Chi sta nel mezzo, incerto ed indeciso, non è credibile, e la gente (la famosa ggente …) sceglie l’originale. Quanto sopra non ha la pretesa di essere chissà quale analisi, ma comunque mi pare difficile confutarla, alla luce dei più recenti sviluppi politici, non solo in Italia. E allora? Siamo condannati ad essere governati dai populisti per chissà quanto tempo? Diventeremo come l’Argentina, dove il populismo (lì si chiama peronismo) è endemico ed ormai inestirpabile? Tutta l’Europa ne sarà infettata? Altro che COVID … Urge un vaccino, efficace, a largo spettro, di immediata somministrazione. Serve un mega-progetto, ampio e comunicabile, non elucubrazioni esclusive. Serve partire dai principi base ed elaborare una proposta che la gente capisca, apprezzi, condivida. Qui non si tratta più di riverniciare ideologie novecentesche come il socialismo, la socialdemocrazia, il liberalismo, il popolarismo, … Quelle sono certo un bagaglio imprescindibile per chi si dichiara riformista, ma da sole non bastano più; al massimo servono a dividersi ancora ed ancora, tra presunti puristi dell’una o dell’altra parrocchia. Basta. Non è quello di cui abbiamo bisogno. Bisogna avere il coraggio di tagliare i ponti con il passato e procedere verso una nuova definizione di politica, che rifugga da ogni forma di populismo e si cimenti con proposte concrete e tangibili di riforme. Il faro deve essere uno solo: la democrazia, concetto che oggi è tutt’altro che scontato, anzi è continuamente minacciato, ferito, distorto dai tanti demiurghi in circolazione, sempre più aggressivi. La democrazia vera comprende tutto il bagaglio pregresso, ma lo proietta nel futuro. Ha dentro socialismo, liberalismo, solidarietà, europeismo, laicità, razionalità, … Ha dentro la scienza, il metodo scientifico, che nulla dà per scontato e tutto verifica. È l’idea di un altro mondo, da immaginare, progettare e costruire, dove ai problemi si risponde sempre con soluzioni precise, fattibili, mai con principi astratti e generiche linee guida, anche se sono di più facile presa. Il mondo è sempre più complicato, interconnesso, globalizzato, tecnologico, specialistico. Non basta solo indicare una direzione, bisogna costruire la strada, ed anche i mezzi per percorrerla, e studiare le alternative per superare gli ostacoli. È una faticaccia, roba per gente tosta, determinata, ma competente. I giovani non hanno mai avuto così tante opportunità per imparare, per comunicare, per approfondire ciò che gradiscono. Spesso li dipingiamo come pelandroni sperduti e mammoni ma, se lo sono, è colpa nostra che non li stimoliamo abbastanza, che non li spingiamo fuori casa a fare esperienze, a misurarsi con la vita. Altro che stress da competizione! Dobbiamo insegnare loro il gusto della sfida, il piacere di arrivare dove nessun altro è arrivato, di superare i propri limiti, di rendersi utili a loro stessi ed agli altri. Oggi nessuno gioca più da solo: qualsiasi cosa la si fa in squadra, nessuno ha la capacità di procedere in solitaria e, anche se l’intuizione è quasi sempre personale, per svilupparla servono sempre gli altri, serve il lavoro di un gruppo affiatato e coeso. Certo che servono i leader ma, senza una robusta consistenza di elaborazione alle spalle, essi si tramutano subito in quegli orrendi demiurghi che tanto, e giustamente, ci preoccupano. Serve una riscoperta della democrazia, ovvero del più geniale sistema di organizzazione sociale che non a caso ha valicato i millenni per arrivare fino a noi. La democrazia è patrimonio di tutti, e non può prescindere dalle varie declinazioni culturali che nel corso del tempo si sono succedute. Le comprende tutte, e adesso è tempo di sintesi. Il populismo, comunque connotato o camuffato, NON è democrazia. È uno/a, con pochi adepti intorno, che pensa a tutto, mentre gli altri NON si occupano dell’organizzazione sociale, al massimo se ne lamentano. Questo non può essere il mondo del futuro. E non lo sarà. Sta a noi accelerare o rallentare, spingere o frenare, crederci e cooperare o dubitare, sforzarci o rilassarci. Il discorso non sembri astratto: i risultati elettorali sono lì a ricordarci, con frequenza impressionante, a che punto siamo e se e quanto riusciamo a contrastare il vento contrario. Vento che non è solo genericamente “di destra”, è vento “populista”, vento che spazza e confonde la democrazia, che resta il bene più prezioso a cui dobbiamo restare testardamente aderenti. Giusto per restare ai prossimi traguardi elettorali, quanto mai dall’esito incerto, al nuovo Parlamento europeo dovremo promuovere, con tutta la forza di cui siamo capaci, un forte gruppo transnazionale improntato alla “Democrazia Europea”. Bastano due parole, ma chiare. D’altronde, la democrazia l’abbiamo inventata da queste parti e abbiamo dunque titolo per rilanciarla con forza.
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