Surreale discussione tra Meloni e Landini sulla presunta "tossicità" del “conflitto”, inteso come conflitto sociale, sindacale, economico. Il conflitto è morte, dice l'una, il conflitto è vita, risponde l'altro. Surreale perché, messa così, la questione lascia campo libero alla genericità, all’ideologia, al romanticismo tardo-futurista, elucubrazioni sulle capacità taumaturgiche o meno del conflitto nella Storia dell’Umanità. Ancor più surreale perché è uno scontro tra un sindacalista che dei conflitti ha fatto una ragione di vita e una politica che ha passato decenni (anche se giovane, Meloni è sulla breccia da quando era adolescente) a predicare e praticare il conflitto più duro (spesso molto duro …) con chiunque non fosse del tutto allineato alle sue idee. Allora, di cosa discutono? Chi è “tossico”? Perché non si trovano d’accordo? Perché, visto che entrambi lo adorano, il conflitto, si dedicano, con la partecipazione di tanti volenterosi intellettuali, ad una questione del tutto pletorica? Maurizio Landini, tanto per capirci, è uno che come capo della FIOM ha sfidato sia la FIAT (e fin qui sarebbe pure fisiologico) sia gli altri sindacati (molto meno fisiologico ...) in due referendum suicidi sulla ristrutturazione degli stabilimenti di Pomigliano e di Mirafiori, nei quali la FIAT doveva investire ingenti capitali ed in cambio chiedeva garanzie di continuità produttiva ed il loro adeguamento alle più moderne tecniche di produzione e di gestione (peraltro già adottate in tutto il mondo dell’automobile sotto il nome di “produzione snella” o Toyota Manufacturing System). Con supremo sprezzo del pericolo, l’eroico Maurizio si lanciò a testa bassa contro la ristrutturazione e ne uscì con le ossa rotte, prima a Pomigliano e poi, non contento, anche a Mirafiori. La cosa, in forza del mito della "lotta", non nocque alla sua carriera. In perfetta continuità con una storia sindacale che peraltro aveva visto il prode Fausto Bertinotti, eroe delle disperate lotte del 1980, vantarsi di non avere mai firmato un accordo (che per un sindacalista equivale a riconoscere la propria inutilità) o il povero Luciano Lama (ben altra pasta di sindacalista …!) soggiacere alle pretese barricadere di un PCI ormai in disarmo ed immolarsi sull’altare della scala mobile nel referendum del 1985. Una tradizione, diciamo … Ma tra qualche settimana assisteremo all’ultimo (ma non sarà l’ultimo …) capitolo della saga, con l’annunciato ed inevitabile tonfo del referendum sul Jobs Act, chiesto per puntiglio, per rivalsa tardiva verso l’odiato Renzi, reo di avere promosso e realizzato con tutto il PD l’unico intervento organico (seppure ancora incompleto) sul mondo del lavoro. Sarà una insperata mano al Governo, che godrà nel vedere l’opposizione spaccarsi sui due fronti, senza che la maggior parte delle persone capisca perché mai una legge voluta dal PD ora venga attaccata dal sindacato insieme allo stesso PD, o almeno parte di esso. Il fallimento del referendum sarà l’ennesimo atto di masochismo di certa sinistra, che però non ne soffrirà più di tanto, visto che spesso gode più a perdere che a vincere. Una botta in più cosa vuoi che sia, di fronte al piacere della lotta? Le tradizioni vanno rispettate, che diamine … Sul mito del conflitto a destra non c’è bisogno di scomodare Marinetti (“la guerra è la sola igiene del mondo” – 1909) per illustrare quanto radicato sia da quelle parti il culto dello scontro, anche fisico. Da Marinetti a Trump, passando attraverso l’assalto a Capitol Hill, il passo è lungo, ma mica tanto … Il gusto di schiacciare l’avversario (o almeno di provarci …) è la linea guida di questi nuovi/vecchi autocrati, autoritari ed illiberali, che si fanno vanto di un approccio politico “maschio”, “virile”, impavido. “Partono i sommergibili …”, “l’odore del napalm al mattino”, “l’igiene del mondo …” Immagini che esaltano le destre di tutto il mondo e, pur senza sommergibili e napalm, anche certe sinistre, che semmai usano metafore diverse, ma che non rinunciano all’esaltazione del gusto della lotta, neanche quando sarebbero disponibili ben più civili ed efficaci strumenti di confronto politico. Ecco la parola giusta: “confronto”. C’è bisogno di ricordare che la democrazia, da che esiste, si basa sul confronto, sul dibattito civile, sulla competizione sì, ma all’interno di un insieme di regole che garantiscono l’integrità di tutte le parti in gioco? E se, in particolari circostanze, lo scontro diventa indispensabile (perché, se ti sparano addosso, non puoi certo fare finta di niente), lo resta solo fino a quando esso può cedere il passo a strumenti migliori. Non un minuto di più. I Parlamenti, i Partiti, i Sindacati, i corpi intermedi in generale, le Costituzioni, servono per favorire il confronto tra tesi diverse e, se possibile, giungere ad una conciliazione. E se poi si deve giungere a decisioni unilaterali, perché il mondo richiede decisioni, queste assumono un valore diverso dall’imposizione tout court della volontà di un vincitore. So bene che … le Rivoluzioni Americana e Francese, il Risorgimento, la Resistenza, …, ma vorrei tanto che la Storia facesse qualche passo avanti, invece di riproporre solo modelli del passato, anche se glorioso. E allora, perché esaltare il conflitto, dove per forza uno vince e l’altro perde, mentre da un civile confronto si può uscire tutti migliori? Il premio Nobel John Nash ha dimostrato matematicamente l’esistenza e i vantaggi dell’equilibrio cosiddetto win-win. Resta però ancora una domanda cui bisogna cercare di dare una risposta: oggi, a che punto siamo? Siamo sicuri che basti un confronto diretto, aperto, costruttivo, o per caso non siamo alla vigilia di tempi in cui bisognerà tornare a calzare l’elmetto (metaforico, se non addirittura fisico)? Il confronto si fa in due, o in più di due. Ma se c’è uno, anche uno solo, che rovescia il tavolo, è difficile continuare. Se poi sono più di uno, si può insistere nel confronto o bisogna passare ad altri strumenti? È giusto in corso una Conferenza sulla Sicurezza, nel posto meno adatto, cioè Monaco di Baviera, dove nel 1938 i Grandi dell’Occidente “potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra" (Winston Churchill). Si spera che vada diversamente da quella volta. Ma di gente che rovescia i tavoli ce n’è anche troppa. Credo che dovremo essere molto saldi nelle nostre convinzioni e fermi nei nostri propositi per resistere e spuntarla, senza né guerra né disonore. Checché ne dicano Landini e Meloni …
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