Finalmente, all’alba del 2025, tutti quelli che si sono pasciuti di anti-americanismo per ottant’anni possono apostrofare gli odierni anti-trumpisti: “Visto che avevamo ragione noi?” Quelli erano anti-americani quando l’America si contrapponeva al comunismo sovietico, prima quello staliniano, poi quello krusceviano, infine quello gerontocratico di Breznev, Andropov e Černenko, e ora si ritrovano anti-americani con l’America del padrino Don Trump, alleata con il post-sovietico, neo-zarista, Vladimir Putin. Paghi uno prendi due, si potrebbe dire. Pare di capire che la cosa metta un po’ a disagio, visto che con l’usuale nemico “amerikano” questi nostalgici e romantici reduci rivoluzionari si trovano in confezione regalo anche il post-sovietico Putin. L’anti-americanismo resta una costante irrinunciabile, pregiudiziale, mentre l’anti-putinismo, ad esso oggettivamente associato, è un po’ più ingombrante da gestire, visto che da tempo questi si scaldano per dimostrare che Putin è solo una povera vittima della protervia occidentale, anzi “amerikana”, e che è stato accerchiato dalla machiavellica e tentacolare NATO, che ha ingaggiato in Ucraina una “guerra per procura”. Ma gli ineffabili Travaglio, Caracciolo, Orsini, Di Battista, … non battono ciglio né si perdono d’animo. Devono per forza sostenere che Trump non costituisce una singolarità della storia, anzi è la quintessenza dell’imperialismo yankee. E con Putin come la mettiamo? Imperialista anche lui? Yankee anche lui? Spregiudicato alfiere del peggior capitalismo rampante? Ma non era una vittima dello stesso? Allora Trump dopo tutto non deve essere malaccio, anzi … Oggettivamente è un pasticcio e forse ci devono pensare ancora un po’ su per raccapezzarsi. Difficile fare loro capire che al mondo esistono certi punti di riferimento, cose tipo l’uguaglianza, la libertà, la solidarietà, che in oltre duecento anni di storia qualche traccia l’hanno pure lasciata e che, aldilà dei singoli episodi, dei democratici e progressisti Kennedys o del conservatore repubblicano Nixon, per non parlare di Reagan, un conto è la democrazia liberale, un altro è il totalitarismo. Che sono inconciliabili. Oggi Trump e Putin sono invece accomunati dall’odio verso la democrazia liberale, verso lo stato sociale, verso la libertà regolata e non quella sregolata che piace tanto a Trump. Sono autocrati o aspiranti tali e per questo si capiscono, si intendono, si spalleggiano, cercando di portare al collasso le “flaccide” democrazie liberali. Molto semplice. E noi dobbiamo decidere da che parte stare, se con la “flaccida” democrazia liberale o con il rigido totalitarismo, nel quale l’uomo forte (la donna nel club non è accettata di buon grado, povera Meloni …!) fa, disfa, decide, picchia duro, maltratta e poi, forse, se vuole, tratta, concede magnanimamente. Tocca decidersi, il che non significa partire a testa bassa in un muro contro muro dal quale la democrazia esce regolarmente sconfitta, ma creare le condizioni per riaffermare principi irrinunciabili, pena la regressione civile. Compito difficile, al quale forse non siamo preparati, ma per il quale faremmo bene a studiare, ad elaborare, a impegnare tutta la nostra intelligenza, contro la brutalità del totalitarismo, anche se mascherato da democrazia (la famosa “democratura”). Sono tempi difficili, prendiamone atto, e non illudiamoci che basti una risposta alta e sonante. Certo, male non fa, ma se non è seguita da scelte politiche congruenti, da strategie e tattiche efficaci, si tramuta solo in ulteriore frustrazione e senso di impotenza. Gli anticorpi hanno bisogno dell’humus adatto per agire e sono efficaci se e solo se la loro azione non è sporadica ma sistematica. Fuor di metafora, se l’Europa non si decide a compiere passi avanti definitivi nell’integrazione politica, anche gli investimenti per la difesa rischiano di non essere affatto efficaci, ma solo di creare debito ulteriore, del quale non abbiamo bisogno. Quindi, bene la disponibilità a mettere soldi sul tavolo, al debito comune, ma insieme bisogna discutere, subito, non a babbo morto, di come l’Europa si struttura per massimizzarne il rendimento. Gli 800 mld di euro sono tanti soldi, che peseranno per decenni sui conti pubblici e rischiano anche di scassarli, visto che sarebbero fuori del Patto (ma è proprio necessario truccare i conti?). Guai però se non fossero risolutivi e non lasciassero un’Europa profondamente diversa da quella che finora ha penosamente latitato sul piano internazionale. Alle situazioni difficili non si risponde semplificandole, ma creando risposte adeguate, anche se dovessero risultare anch’esse complesse e difficili. Questo è il compito: ho qualche dubbio che la classe politica europea sia in generale all’altezza della situazione. Dovremmo pescare dall’esiguo mazzo quelli o quelle buoni, i/le migliori, e fidarci delle loro capacità di visione e discernimento. La piazza aiuta, ma non risolve: il popolo farebbe meglio a cercare di capire l’estrema delicatezza della situazione. Nei momenti difficili normalmente le eccellenze escono fuori. Peccato che, soprattutto dalle piazze, escano anche i ciarlatani, gli imbonitori, i falsari. Sapremo distinguerli?
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