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Caro Enrico, ti scrivo ...

Caro Enrico, so bene che scrivere a chi non c’è più può sembrare un logoro esercizio retorico, ma nel tuo caso è improprio dire che  “non ci sei più” . In occasione del centenario della tua nascita, appena trascorso. abbiamo potuto constatare quanto la tua sia una presenza ancora molto viva, che travalica i tuoi tanti estimatori politici e si allarga in un vero e proprio  “sentimento popolare” , che forse davvero  “nasce da meccaniche divine” . Certo, ci sono ventenni che balbettano (nel bel documentario di Walter Veltroni) indecisi se eri un mafioso o un magistrato, un politico (destra, sinistra, fa niente…) o un giornalista, ma è fuori dubbio che la tua figura abbia segnato e continui a segnare un mondo, un’epoca, una quindicina d’anni tra i più densi della nostra Repubblica. Anni in cui la nostra travagliata vicenda politica ha cercato di prendere una piega più congruente con la storia degli Stati Occidentali, democrazie aperte caratterizzate dall’alternanza dei partiti al potere, s

Il campione

Semplificare ad ogni costo le cose complesse, magari banalizzandole, è specialità di ogni populista che si rispetti (quindi non mia), ma a volte anche complicare i problemi, col solo scopo di renderne difficilissima la soluzione, è un’operazione da masochisti. A nessuno può sfuggire l’estrema delicatezza delle elezioni che si svolgeranno in Italia al massimo entro un anno da oggi. Dico al massimo, perché nella masochistica volontà di complicarsi la vita, qualcuno potrebbe ambire a chiudere la legislatura in anticipo e votare a ottobre, fregandosene della legge finanziaria, della situazione geopolitica, dei progetti del PNRR e di altre cosucce del genere, sperando di lucrare qualche decimo di mezzo punto sul suo più diretto concorrente che, badate bene!, non è quello dell’altro campo (destra o sinistra che sia), ma il più vicino potenziale concorrente. È un triste esercizio di alchimia elettorale, che ha già fornito innumerevoli dimostrazioni di alta letalità. Io credo che invece in pol

Il botulino

Nella mia precedente newsletter ho fatto un po' di ironia sulle contraddizioni che una parte della sedicente sinistra si trova a vivere in questo travagliato frangente. Forse ci sono riuscito, forse no. Vorrei però comunque mettervi a parte di un  sequel  del dibattito, che mi pare possegga una forza ed una chiarezza tali da renderlo ancora più efficace. Il mio amico e compagno Sergio Staino ha inteso riprendere il discorso, rivolgendo il testo che segue ad un ipotetico “compagno ed amico”, uno della “Pace Proibita”. Lo fa con un’onestà ed un’efficacia che vorrei poteste apprezzare, come ho fatto io. Caro A., come direbbe Amleto, ci sono più cose che ci uniscono tra cielo e terra di quanto entrambi si riesca ad immaginare. E’ un po’ troppo sommario e, quindi, superficiale, separarci ferreamente come generazioni: sia la mia che la tua, cioè quella dei miei figli, presentano al loro interno una miriade di letture e orientamenti diversi e una miriade di posizioni spesso profondamente

Al gran ballo della Pace Proibita

Dobbiamo essere grati al redivivo e sempre roboante Michele Santoro per averci organizzato, con un unico grande colpo da maestro, la Mostra dell’Antiquariato della sedicente sinistra “contro”, quella “vera”, originale, insostituibile. Sedicente perché se la cantano e se la suonano, fin da quando l’Unione Sovietica sopravvisse a Stalin e protrasse la sua agonia per altri quarant’anni, tra lo sconforto di decine di milioni di persone che furono costrette a subirne il giogo. Un campionario di relitti d’epoca, una specie di ritrovo di auto storiche e preziose rarità da collezione, una nostalgica Millemiglia della politica del Novecento, che ha raggruppato il fior fiore dell’inconcludenza nazionale, del fallimento storico, dell’intellighenzia rivoluzionaria. Da Fiorella Mannoia a Moni Ovadia, dalla turbo-filosofa Di Cesare al professore Montanari (il “Tomaso-con-una-emme-sola”), dalla sardina Cristallo alla proto-sardina Guzzanti, dall’ex-Sindaco guerrigliero De Magistris alla vicesindaca C

Riformismo vs. populismo

  Grande la confusione sotto il cielo di maggio …! Non bastava la guerra, il cambiamento climatico, la crisi energetica, la pandemia (e chissà che non arrivino anche le cavallette …), in questo turbolento frangente ci tocca pure occuparci e preoccuparci dell’Avvocato Giuseppe Conte e delle sue acrobatiche contorsioni dialettiche, un kamasutra politico volto a cercare una qualche posizione presentabile ad un’opinione pubblica sempre meno attratta dalla sua “pochette” e dal suo forbito eloquio da azzeccagarbugli di paese. Avendole provate tutte (Salvini, i sovranisti, gli immigrati coi decreti sicurezza, i dubbi sull’euro, i gilet gialli, e poi Zingaretti, Bettini, il “punto di riferimento fortissimo…”, i navigator, le lotterie, NO TAP e poi SI TAP, NO TAV e poi SI TAV, Macron o Le Pen chissà…, infine il “fenomeno” Orsini, nuovo vate dal pensiero laterale, …) adesso ci prova con il pacifismo da quattro soldi: armi difensive e non offensive ( ma de che? che vor di’?  dicono a Roma), Dragh

Nucleare sì, nucleare no

Tra la guerra in Ucraina e il cambiamento climatico incombente, è naturale che la questione energetica si imponga in tutta la sua prorompente importanza. Ed è altrettanto naturale che si torni a parlare di “nucleare” come di un’opzione fondamentale per affrontare la doppia crisi in atto, a complemento delle fonti rinnovabili e come sostituzione delle fonti fossili. Purtroppo molto spesso se ne parla per partito preso, con taglio “ideologico” o persino propagandistico, come se il “nucleare (sì o no)” fosse riducibile ad uno slogan o fosse una bandiera da sventolare contro qualcosa o qualcuno. È invece un argomento di estrema valenza tecnica, tecnologica ed economica, e richiede lucidità e freddezza di giudizio. Senza alcuna presunzione ritengo perciò utile fare qualche precisazione a mio avviso importantissima per inquadrare il problema sotto la luce più realistica possibile. In altri articoli mi sono dilungato sui problemi enormi connessi con il nucleare civile tradizionale, quello d

Gli scemi

Stavolta invece ha proprio ragione, Michele Serra. Questa brutale aggressione del dittatore Putin nei confronti dell’Ucraina democratica avrebbe dovuto mettere in seria crisi tutte le destre del mondo occidentale, che con Putin hanno amoreggiato a lungo, e non solo per motivi commerciali o industriali (cosa peraltro in qualche modo necessaria e legittima), ma per una malcelata attrazione ideologica per il suo (e non solo suo) bizzarro concetto di “democrazia illiberale”, cosa che, a quelli dotati di medio buon senso, pare solo un modo subdolo per dire “dittatura”. Invece, come al solito, ad essere ferocemente spaccata come un melograno è la sinistra, specialmente in Italia. Sostiene Serra, un po’ scherzando e un po’ no, come  “nella sinistra italiana ci sia una forte dose di scemenza. Con noi sedicenti intellettuali al primo posto in graduatoria” . Difficile dargli torto, ma il passo successivo è chiedersi  perché  la sinistra, ed in particolare i suoi intellettuali, tra cui lui a buon

Il fantasma della libertà

In questi giorni tempestosi, mentre è in atto una guerra di cui facciamo ancora fatica a misurare la reale portata, è doveroso soffermarsi a considerare come la nostra cara democrazia occidentale, rappresentativa, liberale, keynesiana, stia attraversando una crisi profonda. Sembrava, nel secolo scorso, che quella con gli improbabili sistemi alternativi sorti nel Novecento fosse ormai una partita vinta con schiacciante superiorità ( “la fine della storia” ), e invece quel modello, teoricamente “vincente”, viene ancora ogni giorno cannoneggiato (anche letteralmente), senza che nello stesso mondo occidentale si manifestino chiari ed evidenti segni di riscossa, di rilancio, di riaffermazione (anzi qualcuno discute persino sull’opportunità che gli ucraini si difendano strenuamente dall’invasore russo …!). Intanto partiamo con il constatare che, su oltre sette miliardi di abitanti del pianeta, sì e no uno vive in sistemi decentemente democratici. Tutti gli altri ne sono sideralmente distanti

C'era una volta Torino ...

C’era una volta Torino … e fortunatamente c’è ancora! Tengo a precisarlo, visto che un lungo Dossier del TG2, sabato 9 aprile, ha impiegato quasi 50 minuti per descrivere l’agonia, o forse anche la morte, di Torino (chi non l’ha visto e non si fida può trovarlo qui ). Vorrei segnalare all’esimio Direttore Sangiuliano che invece  “Torino è viva e lotta insieme a noi!” Certo non è più quella degli anni Sessanta, né quella dei Settanta, e nemmeno quella dopo. Ovvio, no? È una città, e lo dico per diretta esperienza personale di uno che ci è arrivato dall’Abruzzo nel settembre 1970, a 18 anni, che davvero è cambiata, davvero ne ha viste di tutti i colori, nel bene ed anche nel male, ma che ( boia faus! ) è ancora qui, pronta a ripartire dopo il lungo e buio inverno a cinquestelle della sindaca Appendino. Che senso ha rimpiangere il tempo della Torino industriale dove la FIAT monopolizzava tutto? Che senso ha pensare che era meglio quando a Mirafiori c’erano 75.000 persone, stipate in una f

Endurance ...!

Dopo quasi ottant’anni da Hiroshima, questa crisi ucraina sta mettendo in luce il vero baco dell’era moderna, il punto debole di tutto il sistema, che è pure la chiave di volta di un precario equilibrio di forze. Debbo essere più chiaro … Da che esistono le armi atomiche con il loro mostruoso potere distruttivo, si è creato quello che con poca fantasia è sempre stato chiamato “equilibrio del terrore”, ovvero quell’equilibrio basato sulla “deterrenza”: sappiamo che quelle armi danno la possibilità di distruggere tutto, riteniamo ciò ovviamente non auspicabile da parte di nessuno, ergo, cerchiamo di non provocarci più di tanto l’un l’altro, perché sappiamo che fino in fondo non potremo mai andare, pena l’apocalisse globale. Ragionamento semplice, lineare e pure efficace, visto che per quasi ottant’anni ha permesso un equilibrio non proprio di pace, ma comunque stabile a sufficienza da tenere lontane le ipotesi di una guerra totale. Gli scontri non sono mancati, tanti, ma sempre con il fr