Passa ai contenuti principali

Post

Caro Michele ... (ancora!)

Ancora una volta non riesco a trattenermi dall’interloquire (ormai sono al limite dello stalking …!) con Michele Serra che, in un recente articolo del 16 marzo, si rammaricava che la sinistra, genericamente e sommariamente intesa come qualcosa di riconoscibile (bontà sua!), perdesse tempo ed attirasse l’attenzione su di sé con continue feroci discussioni su quanto sta avvenendo in Ucraina. Sintetizzo, forse troppo, ma il senso era questo. Dice giustamente, il Michele, che è la destra a doversi sentire più in imbarazzo, vista la sconsiderata ammirazione per l’autocrate russo, a lungo dimostrata dai suoi leader (l’amicone Berlusconi  in primis , poi Salvini con le magliette, l’Hotel Metropol e i leghisti veronesi, e pure Meloni, amica di Le Pen, quella che ha fatto distruggere i volantini elettorali con la sua foto a fianco del grande leader, che in Francia scrivono  “Poutine” , per non doverlo pronunciare come un imbarazzante  “putén” ). Dice pure che la sinistra non dovrebbe rubarle la

La guerra dei mondi

Innumerevoli sono e saranno le conseguenze, gli strascichi, i corollari, che questa crudele aggressione lascerà dietro di sé. Ne subiremo le conseguenze per anni e forse per decenni; molto cambierà nelle nostre vite e nel nostro modo di fare politica. Si sta delineando una nuova  “guerra dei mondi” , uno scontro tra due concezioni dell’organizzazione sociale: quella occidentale, aperta, democratica, di stampo liberalsocialista e quella autoritaria, totalitaria, sovranista, dei regimi che abbiamo imparato a chiamare “democrature”. La Russia di Putin sta facendo l’apripista e Dio non voglia che a ruota segua anche la Cina: possiamo certo sperare nella scarsa impulsività e nella pragmaticità del carattere e della cultura cinese, ma dobbiamo riconoscere loro di essere capaci di avere uno sguardo molto lungo, una visione programmatica di decenni e non di mesi. Se così è, si sta ricreando una nuova distinzione tra blocchi, alla cui base c’è una diversa concezione dell’organizzazione sociale.

Per cosa si combatte

  A sentire gli accorati proclami “pacifisti”, lanciati sia nelle piazze fisiche che in quelle mediatiche da accigliati e pensosi dirigenti, intellettuali, opinion maker, pseudo leader di organizzazioni fatiscenti ed anacronistiche, spericolati equilibristi, uno si chiede in quale mondo vivano, che realtà vedano, quanto è spesso il velo dell’ideologia che annebbia loro sia gli occhi che la mente. Gente che riempie bocca ed etere di luoghi comuni, di ovvietà, di banalità tali da doversi chiedere se essi siano mai usciti dalla fase adolescenziale, quella nella quale tutti sono autorizzati (ma solo per poco tempo, però) a sparare cazzate in quantità industriale, purché siano molto immaginifiche. Di solito poi uno cresce e diventa più equilibrato, più maturo, ovvero più capace di calare le proprie idee nella realtà e misurarsi con essa. Non è per tutti così: perché vaneggiare di  “neutralità attiva”  non vuol dire nulla di concreto, è solo fuffa, e pure insistere per un intervento dell’ONU

Quale nuovo equilibrio?

In questa terribile (ma pure inconsueta e singolare) guerra ucraina, chi l’ha scatenata, cioè l’autocrate Putin, non può vincere e non può perdere. Così almeno a me pare. Non può vincere perché è solo contro quasi tutto il mondo, la sua reputazione internazionale è irrimediabilmente compromessa, perché sarà sempre più mal sopportato anche in casa sua, perché gli ucraini non si lasceranno mai annettere del tutto, perché la potenza dell’economia e della finanza può essere maggiore di quella delle armi (almeno di quelle convenzionali), perché l’uso delle armi nucleari esporrebbe la stessa Russia ad un pericolo troppo grande ed assolutamente incontrollabile. E molte altre valide ragioni. Non può nemmeno perdere, però, perché la sproporzione dei mezzi militari in campo è evidente, perché i Paesi terzi non possono e non vogliono intervenire direttamente, perché purtroppo non c’è limite alla distruzione ed alle sofferenze che la sua violenza può imporre al popolo ucraino, perché la destabiliz

Domande senza risposte

Tutti ci chiediamo: quando finirà? come finirà? E ancora: perché tutto è cominciato? qual è stato l’errore? chi ha  “sbagliato più forte”  (per citare Fossati)? Il nostro mondo è abituato a certezze, a legami stretti tra causa ed effetto, tra azione e reazione e, anche quando arriva l’imprevisto (il Covid o un terremoto …), cerca di ricondurlo subito nell’ambito della gestione, emergenziale ed approssimativa quanto si vuole, ma sempre gestione razionale. Scienziati che si attivano, enti che si parlano, politici che si incontrano e prendono decisioni, noi che ci adattiamo senza troppe proteste anche a cose inaudite, come chiuderci in casa per settimane. Ora è diverso. Primo, perché il Covid, o un evento naturale, colpisce tutti indiscriminatamente, Est e Ovest, liberi ed oppressi, poveri e ricchi. Secondo, perché in quei casi le contromisure sono note; possono semmai risultare inadeguate, o insufficienti, ma fanno parte di un armamentario conosciuto, non si parte mai al buio. Azione e r

War Games

“The only winning move is not to play”. Questa frase ( “la sola mossa vincente è non giocare” ) compariva sullo schermo del supercomputer protagonista di War Games , un film di quarant’anni fa che rappresentava uno scenario di possibile escalation nucleare provocata dal computer stesso che, ad un certo punto, non distinguendo più tra gli scenari di simulazione e la realtà vera, era arrivato ad un passo dallo scatenare l’olocausto nucleare; alla fine però, costretto a giocare contro se stesso, il computer riusciva a produrre quella icastica conclusione. “Non giocare”: è una parola …! Quando la realtà è quella vera e non quella simulata, qualcuno può costringerti a giocare, anche controvoglia. E ti mette di fronte ad atti che non vorresti accettare, ma che sei costretto comunque a fronteggiare. A poco serve chiedersi se il comportamento è razionale o meno. È una rottura dell’equilibrio ed è quella che devi gestire, cercando la strada verso un nuovo equilibrio che non conosci, ma che sper

Di cosa parliamo, quando parliamo di pace

Ma davvero dobbiamo abituarci all’idea che, ai confini dell’Unione Europea, uno Stato sovrano possa essere invaso militarmente da uno Stato confinante, più grosso e più potente? Ma davvero siamo tornati al punto che le questioni internazionali tra Stati possono essere affrontate solo con i missili e i carri armati? Ma davvero siamo tutti diventati così incapaci di metterci attorno ad un tavolo (Putin ne ha di enormi …) e analizzare problemi e possibili soluzioni con razionalità? Cosa penserebbe il Premio Nobel Johnny Nash ( “A beautiful mind” ), che teorizzò e dimostrò l’esistenza di un punto di equilibrio tra gli interessi contrastanti dei giocatori, purché essi siano razionali? Direbbe che i giocatori non sono razionali. Ovvero una conclusione devastante e senza speranza, se applicata alla politica internazionale in un mondo pieno zeppo di armi di distruzione di massa, non tutte depositate in mani sicure e, appunto, razionali. Possibile che, con tutta la scienza, la tecnologia, la fi

Il treno

  Sta passando un altro treno … Non è il primo, non sarà l’ultimo (speriamo), ma anche su questo possiamo salire o non salire. Oppure far finta di salire e scendere alla prima fermata. Oppure restare a bordo ma accarezzare platealmente la maniglia del freno di emergenza, pronti a tirarla al primo scossone. Insomma, uno un treno lo prende se vuole (deve) andare da qualche parte: ma bisogna sapere dove si sta andando e volerci andare. Non si sale su un treno per fare un giretto: si va da un punto all’altro. Se possibile volontariamente, altrimenti diventa una tradotta, cosa che però rimanda a pensieri molto bui. Tutta questa premessa ferroviaria per dire che una società può scegliere di restare ferma e farsi passare il mondo addosso (è una scelta rispettabile, seppur fortemente a rischio di autolesionismo e autoisolamento, e si chiama “conservatorismo”), oppure decidere di mettersi in marcia e cercare di andare verso il futuro, magari provando anche a pilotare, ad indirizzare e controlla

Il nonno

Inutile: non vogliono (o non possono) farsene una ragione. Ormai è passato un anno, lungo e avventuroso, da che è diventato Presidente del Consiglio dei Ministri, l’abbiamo visto all’opera per mesi, eppure niente … Tutti (o quasi) i media restano convinti che Mario Draghi sia un Letta, un Salvini, un Tajani qualsiasi. Uno cioè che non parla diretto, soggetto predicato e complemento, bianco per bianco e nero per nero, uno che parla a nuora per la nuora e a suocera per la suocera, senza allusioni, ammiccamenti, doppi sensi. Mentre invece Draghi è soprattutto uno che parla solo, se, quando e come lo decide lui. Non può essere vero: impossibile, non può esistere in natura un governante di tal fatta. Eppure, Draghi non chiede di essere interpretato, chiede di essere ascoltato, e parla per essere ascoltato. Mentre invece tutti si sforzano di interpretare senso e controsenso, detto e non detto, testo e contesto. Una perdita di tempo. E se invece provassimo a sentire cosa dice e a prenderlo co

Viva Galileo!

Dunque, abbiamo evitato un errore clamoroso. All’ultimo momento, grazie ad una mobilitazione la cui eco è arrivata fino al Quirinale, la Camera ha accolto un emendamento che espunge dal testo della legge (benemerita) sull’agricoltura biologica ogni riferimento all’agricoltura biodinamica, pratica sciamanica ed antiscientifica, fondata cent’anni fa dall'esoterista (!!) Rudolf Steiner e adesso sotto l’egida di un’azienda privata tedesca. Si stava perpetrando un vulnus alla Costituzione, alla logica, al buon senso, nonché all’autorevolezza del “metodo scientifico”, sul quale poggia da qualche centinaia d’anni la società moderna occidentale. Non la sto facendo troppo grossa, né sto amplificando preoccupazioni superflue (come è stato detto da qualche parte), sto solo sottolineando che, se si mobilita l’Accademia dei Lincei, un Premio Nobel, decine e decine di scienziati e ricercatori, parte di media solitamente sonnacchiosi sul tema, oltre a tanti cittadini amanti della razionalità e i