Si fa un gran parlare di riforme, riformismo e riformisti. Diamo tutti per scontato il significato di queste parole, ma forse non è proprio così scontato … Queste elezioni saranno tutte giocate sul grado di riformismo dei protagonisti, ma il concetto rischia di risultarne travisato, confuso, perfino mistificato. Tutti infatti possono definirsi riformisti, tutti possono rivendicare la necessità e la volontà di riformare qualcosa, di varare riforme che modifichino anche in profondità l’assetto politico e sociale del Paese. È riforma il presidenzialismo, come è stato riforma il reddito di cittadinanza, oppure lo sarebbe una fantomatica “flat tax”, o una Quota cento e rotti per le pensioni. Ma lo furono anche le unioni civili, l’assetto delle banche popolari, il 730 precompilato, il canone TV in bolletta, la trasformazione del Senato (bocciata dal referendum), … Tutte riforme, più o meno incidenti, più o meno efficaci, più o meno accettabili e opportune. E allora tutti ugualmente riformist
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